Chi vuole informarsi preferisce il web al piccolo schermo. In Usa tutti a caccia di news gratuite. Per la televisione c’è meno spazio
Internet batte televisione 43 a 40. Qualcosa di epocale si sta consumando negli Stati Uniti, generic la patria di Steve Jobs, di Bill Gates, di Netflix e della Silicon Valley, dove si è compiuto il sorpasso del web sulla tv per quel che riguarda l’informazione. Secondo i dati contenuti nel Digital News Report 2015, elaborati dal britannico Reuters Institute, in Usa l’online batte la tv come fonte primaria di informazione: le notizie su internet, sono fruite dal 43% dei cittadini contro il 40% di fidelizzati del piccolo schermo.
La rivoluzione digitale, for sale dopo aver cambiato il nostro modo di vivere, di cercare, di muoverci, di sedurre, infligge uno sfregio all’ultimo baluardo del Novecento che ancora resisteva come maggioritario nel nuovo millennio, la tv. Un terremoto che stando ai dati del Report Reuters non si rivela solo americano: il gap tra online e tv, infatti, si fa persino più evidente in nazioni come la Finlandia (46%-30%), l’Australia (44%-35%), la Danimarca (42%-37%) e l’Irlanda (41-37%). E in Italia, si chiederanno i nostri lettori, a che punto siamo nella sfida tra tv e internet sul terreno dell’informazione primaria? Premesso che il nostro Paese sconta, rispetto a quelli sopracitati, un ritardo tecnologico e infrastrutturale, da noi l’indagine Reuters dice che vince ancora la vecchia televisione 49 a 34. Più televisione (come fonte informativa) di noi se la sorbiscono soltanto i francesi 58 a 29 e i tedeschi dove la tv batte il web 53 a 23. Simile al nostro, invece, è il consumo dei giapponesi, 49 a 33. Uscendo dai numeri, comunque importanti, l’Istituto di ricerche britannico, si sofferma anche sull’evoluzione dei media nel XXI secolo e sul loro Stato.
Tornando in Usa, emerge come gli Stati Uniti stiano vivendo di fatto la terza generazione del loro sistema mediatico: dopo gli anni gloriosi delle grandi testate di carta, radio e tv (prima) e l’avvento dei giganti del web come Yahoo e Msn (seconda), ora è il turno dei sistemi di news figli dei social media e influenzati dal loro stesso linguaggio. Non è un caso che, nel secolo scorso, sempre in Usa siano nate e arrivate al successo le all news, un modello di informazione che oggi sta segnando, con la rivoluzione tecnologica e digitale in corso a ritmi velocissimi, il passo.
Anche qui alcuni dati suffragano bene il ragionamento di sistema e soprattutto gli interrogativi per il futuro del modello di business, anzi dei modelli, che riguardano l’informazione. Oggi, infatti, un solo americano su 10 paga per le news online ma il 67% «non lo farebbe mai». Certo, è vero che gli Usa segnano il record negativo di una scarsa fiducia delle persone nei media ma il 67% che dice che non pagherebbe mai per le news online è di certo un dato che spaventa imprenditori e operatori del settore informativo. Anche perché quel 33% che sarebbe disposto a pagare dice che non spenderebbe mai più di 8,5 dollari l’anno. Niente, insomma. Roba che se il futuro dell’informazione dovesse spostarsi soltanto sul web, per imprenditori e operatori del settore non resterebbe che farsi un bel segno della croce. Ecco allora, come spiega la ricerca, che il grosso si sposta sui social, come Facebook (il 40% lo usa per informarsi) e Twitter, mentre sistemi di messaggistica come Snapchat stanno stringendo in Usa partnership con network come Cnn. Anche perché, per andare a monetizzare, il prossimo capitolo della sfida futura non potrà che arrivare sui sistemi di advertising digitale che monetizzino il flusso di notizie on demand, con una concentrazione sul target di consumo dei più giovani (fino ai 30 anni). Questo in Usa e in Italia invece, su questo aspetto, cosa sta succedendo? Da noi, come abbiamo visto, se la televisione rimane la principale fonte di notizie, l’offerta online è sempre più varia, anche se il modello di business sostenibile è ancora instabile. Gli italiani sembrano infatti preferire l’informazione gratis – anche non verificata – invece di quella verificata a pagamento. Insomma notizie a scrocco, a costo di beccarsi delle bufale, anziché news verificate, l’importante è non pagare. Qui, forse, c’è il messaggio culturale più perverso che il web porta con sé e cioè l’idea che l’informazione sia gratis e che tutti possono farla. Non si tratta di essere corporativi ma semmai di interrogarsi sulle considerazioni del semiologo Umberto Eco, liquidate troppo in fretta come snob, che a proposito della rete pochi giorni fa ha detto: «Internet da diritto di parola a legioni di imbecilli».
(Di Massimiliano Lenzi)