ailment scende sotto 1,12 dollari” width=”250″ height=”205″ />(di Federico Fubini)
Nel 2014 il margine d’interesse del gruppo è crollato del 61,4% rispetto al 2013. Il rendimento medio era pari al 3,4%, poi la riduzione delle condizioni di Tesoreria
Chiunque vinca, un risultato è già certo: niente tornerà come prima. Sembra questione di ore, o al massimo giorni, prima che la Cassa depositi e prestiti sappia se verrà guidata fino all’anno prossimo dall’amministratore delegato e dal presidente di oggi. Ma che Giovanni Gorno Tempini e Franco Bassanini resistano fino a fine mandato, o invece siano costretti a lasciare, neanche loro dovrebbero avere dubbi almeno su un punto: Cdp non sarà più uguale a se stessa. A questo punto della crisi dell’euro e del lavoro di contenimento della spesa pubblica in Italia, troche il modello sul quale la Cassa si è basata fino a ieri non c’è più. Soprattutto, non rende più abbastanza per essere sostenibile.
A prima vista non dovrebbe essere così, a giudicare dai conti che restano in attivo. L’anno scorso la Cassa depositi ha guadagnato 1,1 miliardi di euro: un saldo in calo dai due miliardi e mezzo del 2013, ma sempre notevole. Una seconda occhiata rivela però l’erosione dei numeri. È un logoramento di alcune fonti di ricavo tradizionali di quella che, nella diplomazia finanziaria internazionale, viene definita la «banca di sviluppo» dell’Italia. Ma è anche il tramonto di un equilibrio durato molti anni fra risparmio degli italiani (specie quelli meno ricchi), il finanziamento del debito pubblico e la remunerazione della stessa Cdp da parte dello Stato per la sua attività. Poco importa se effettivamente utile, oppure pletorica.
Basta fare il confronto tra il bilancio del 2013 e quello del 2014, per accorgersi che qualcosa sta cambiando in profondità. Com’è noto circa tre quarti del finanziamento di cui gode la Cassa depositi proviene dalla raccolta di risparmio degli sportelli di Poste italiane, sotto forma di buoni fruttiferi e libretti. Nel 2013 quella massa di risparmio delle famiglie valeva 242 miliardi in tutto, mentre l’anno scorso la raccolta postale è addirittura salita di circa altri 10 miliardi. Si tratta di conti per lo più di piccola dimensione, spesso accumulati da pensionati o da migranti stranieri.
Questi risparmi sono e restano assolutamente sicuri e continueranno a produrre un rendimento piccolo, però garantito. È piuttosto il ruolo di Cassa su di essi che sta entrando in crisi, e non è affatto detto che sia una cattiva notizia per i contribuenti o per i risparmiatori stessi. Le differenze fra gli ultimi due anni raccontano del resto questa storia in modo evidente. Nel 2013, Cassa aveva collocato 173 miliardi di euro provenienti dal risparmio postale nel suo conto corrente presso la Tesoreria dello Stato. Si è trattato di un vero e proprio prestito a finanziamento del debito pubblico, per il quale il Tesoro ha versato a Cdp un interesse più alto di quello che si solito riceve chi compra un’obbligazione pubblica. Il rendimento riconosciuto a Cdp nel 2013 è stato pari a «rendistato» (il rendimento medio di un paniere di titoli pubblici), più un gradino al rialzo che ha portato il rendimento medio al 3,4%. I clienti di Banco Posta hanno dunque ricevuto un reddito da capitale che ha difeso e accresciuto un po’ il valore del loro patrimonio. Ma grazie alla differenza che ha trattenuto per sé, Cdp ha potuto realizzare un «margine d’interesse» (la differenza fra i tassi sul denaro che prende in prestito e quello che presta essa stessa) davvero notevole: 2,4 miliardi di euro. Quasi tutto l’utile netto di Cdp nel 2013 si spiega così.
Avanti veloce al 2014 e il terreno inizia a spostarsi sotto i piedi della «banca di sviluppo». Per effetto del rischio di deflazione e dell’azione stabilizzante delle banche centrali, i tassi d’interesse sui titoli di Stato italiani calano in fretta. Nel frattempo il governo cerca di accelerare sulla «spending review» e si impegna a tagliare le spese. Con un decreto ministeriale del 24 maggio 2014, l’esecutivo rivede le modalità di remunerazione delle giacenze e in particolare del conto di Cdp presso la Tesoreria. I rendimenti non sono più fissati in base ai tassi del passato più o meno recente ma in linea con quelli presenti, più bassi. Di fatto è una riduzione del rendimento supplementare che spetta a Cassa per il suo deposito di fondi dei clienti di Poste presso la Tesoreria. E in fondo sembra logico: pensionati, lavoratori stranieri e altri piccoli risparmiatori potrebbero comprare direttamente Buoni ordinari o poliennali del Tesoro o altri titoli pubblici, anziché farlo attraverso Cdp permettendo a quest’ultima di trattenere per sé un interesse in più.
Chiunque abbia ragione, il panorama per la banca di sviluppo guidata da Bassanini e Gorno Tempini risulta trasformato. Il margine di interesse nel 2014 crolla del 61,8%. Il margine di intermediazione, che per una banca equivale al totale dei ricavi finanziari, a ben vedere va in rosso di 114 milioni: lo trascina verso il basso il saldo negativo per le commissioni versate dalla Cassa alle Poste in cambio del collocamento di libretti e buoni fruttiferi. Poste è il venditore dei prodotti di risparmio, Cdp ne è il gestore in quanto banca. E certo per una banca avere un margine d’intermediazione negativo è un fatto raro e niente affatto lusinghiero. Poco importa che questo istituto sia proprietà del Tesoro stesso all’80,1% e delle fondazioni di origine bancaria al 18,4%.
Qui bisogna fermarsi un attimo, perché Cassa depositi e prestiti (legittimamente) non è d’accordo. Nel riassunto sugli indicatori della propria performance a pagina 21 del fascicolo di bilancio, Cdp indica un margine di intermediazione positivo per 481 milioni (benché in netto calo sui 1.159 milioni dell’anno prima). Ma il modo in cui si compone quel dato, benché non irregolare, suscita perplessità sulla sua tenuta: lì dentro è compreso anche un effetto positivo per quasi 600 milioni dalle rivalutazioni sulle «partecipazioni a controllo congiunto e influenza notevole». Si tratta di quote in società come Eni o Trans Austria Gas, che sono cresciute in valore nel 2014 soprattutto per l’andamento dei mercati e dunque hanno un impatto positivo sui conti dell’azionista Cdp. Ma non solo si tratta di effetti «una tantum», difficili da replicare nei prossimi anni. Soprattutto, Cdp include queste partecipazioni ma esclude invece svalutazioni su crediti e attivi finanziari per 166 milioni solo nel 2014.
C’è poi un secondo interrogativo, che riguarda il rapporto della Cassa con Poste italiane. Per il collocamento di strumenti di risparmio, come si è visto, Cdp ha riconosciuto a Poste stesse circa 1,7 miliardi in commissioni. Magari non è una somma esagerata, perché si tratta pur sempre di appena lo 0,7% dell’intera raccolta di risparmio tramite questo canale. Ma Poste italiane si prepara ad essere privatizzata con un collocamento in Borsa ed è affamata di ricavi, mentre Cdp è controllata dallo stesso Tesoro che legittimamente cercherà di vendere le azioni di Poste al prezzo più alto possibile: il massimo di trasparenza per evitare conflitti d’interessi sarà più che necessario.
In definitiva, l’erosione dei conti della Cassa a causa del calo dei margini sulla gestione di risparmio rimanda all’interrogativo di fondo: che cos’è oggi questo istituto? Come fornitore di servizi allo Stato, la sua redditività è limitata. Come assicuratore, l’anno scorso ha guadagnato quasi mezzo miliardo senza che questa missione appaia fra quelle fondanti per Cdp. E come banca, non ha quasi più margine per incrementare le proprie partecipazioni azionarie oltre il valore di un patrimonio netto di 21 miliardi. A meno che in futuro non cambi lo statuto. Ma questa è davvero un’altra storia, di cui (per ora) non si vedono le avvisaglie.