ed 2017 fine partnership ++” width=”279″ height=”189″ />(di Riccardo Ruggeri) Nei giorni scorsi, i supermanager delle compagnie aeree a stelle e strisce, con grembiulino e fiocco azzurro si sono presentati, in fila per due, alla Casa Bianca con un dossier di 1021 pagine, chiedendo a papà Barack di abbattere quei lupi mannari arabi, advice con khandura bianco e ghutra di complemento, delle compagnie del Golfo. Idealmente erano accompagnati da tedeschi e francesi, tutti gli altri europei invece si erano già affrancati dalla lobby Aea, che in realtà ha spesso fatto gli interessi americani. Curioso che i campioni del liberismo (a chiacchiere) chiedano l’intervento dello statalista Obama. Intendiamoci, scelta giusta, è lo stesso Obama che nel 2009 nazionalizzò GM e Chrysler (fallita per la terza volta nella sua storia di appena 80 anni, cedendola poi, con dote e privilegi vari a spese dei contribuenti americani, a Fiat). Chissà se, prima di andarsene non la faccia ricomprare dalla GM per chiudere così il cerchio a stelle e strisce?
Nel frattempo, nei cieli del mondo si combatte una partita mortale per garantirsi la supremazia nei voli intercontinentali. Tutto è ammesso, anche se ormai (forse) non c’è più partita per gli americani.
Secondo il dossier dei vettori americani, a far da volano alle compagnie mediorientali ci sarebbero stati 42 miliardi $ di sussidi degli Stati del Golfo: prestiti senza interessi, agevolazioni aeroportuali, addirittura sovvenzioni dirette, come quelle garantite nel 2009 a Qatar Airways in difficoltà. Ricordiamo che oggi la compagnia numero uno al mondo è Emirates, viaggiarci è un piacere, come con Singapore, come con Alitalia anni ’70.
Secondo invece i vettori del Golfo, che si sono appoggiati al prestigioso The Risk Advisory Group di Londra, le compagnie americane, finte vergini, hanno beneficiato di ben 71,48 miliardi $ (il doppio!), grazie all’accesso privilegiato al Chapter 11 e ai salvataggi dei loro fondi pensione da parte dello Stato. Casualmente, proprio in questi giorni, Mediobanca ha comunicato quanto è costata, in 40 anni, l’intera operazione Alitalia ai contribuenti italiani: 7,4 miliardi. Cifra orrenda, comunque molto migliore di quelle delle liberiste Delta, American e Soci. E meno male che l’abbiamo venduta (49%) alla vittoriosa Ethiad, e non alla tecnicamente fallita Air France, come volevano i politici alla Prodi e i super esperti.
Il pallino ora è nelle mani di Obama, vedremo quanto è peloso il suo liberismo, finora in verità drammaticamente zoppo. Per chi ama analizzare i modelli di business e i comportamenti organizzativi delle leadership, questa guerra fra banditi dell’aria è affascinante, mi ricorda molto il caso Uber, però a ruoli invertiti. Le compagnie americane hanno un modello di business arcaico (come i tassisti?), mentre gli emiri volanti ne hanno uno avanzato (come Uber?). Sembrerebbe di sì, visto che i primi ricorrono alle carte bollate, ai magistrati, ai politici, domani al Congresso, se del caso alla Corte Suprema, i secondi si coprono sotto l’ombrello della parolina magica disruptive innovation e investono il loro capitale nel prodotto lobbying.
Nel frattempo, implacabile, il ceo-capitalism brilla nei cieli americani.
(da Italia Oggi) editore@grantorinolibri.it @editoreruggeri