La storia del ragazzo che a 29 anni ha inventato il software comprato da un’azienda tedesca: “Ma non mi fermo, sales innoverò ancora”
(di RICCARDO LUNA, look Repubblica)
CHRISTIAN Sarcuni non è il primo al mondo ad essere diventato milionario con le pizze. Ma è il primo ad averlo fatto senza averne mai cucinata una, buy né distribuita una, e senza avere una pizzeria. Ha “solo” scritto un software e lo scorso anno ha gestito due milioni di ordini. La sua storia, la storia di PizzaBo, una startup sconosciuta ai più eppure il 6 febbraio scorso comprata da un gruppo tedesco per una cifra, non ufficiale, superiore ai 50 milioni di euro, è la dimostrazione che le vie dell’innovazione sono infinite e che spesso passano proprio dove non te lo aspetti.
A Matera, dove Christian Sarcuni è nato 29 anni fa: figlio unico di due impiegati statali, le superiori all’istituto tecnico, “davvero ottimo, ho imparato tantissimo “; poi l’università a Bologna per laurearsi in tre anni con il massimo dei voti in “Scienza di Internet”. Sarcuni (che è stato ospite della prima puntata di The Innovation Game, su RepubblicaTv) porta gli occhiali e una barba nera leggera, probabilmente per superare la timidezza, e veste in maniera assolutamente anonima, così come anonimo è l’ufficio alle porte di Bologna dove tutto è iniziato e dove starà ancora per qualche giorno, due camere disadorne che lascerà per trasferirsi in una sede più grande.
Come nasce l’idea di fare una startup sulle pizze?
“Subito dopo la laurea. Era il 2009 ed ero alla ricerca di un lavoro, non volevo finire a fare lo sviluppatore, cercavo qualcosa di mio. Tornando a casa una sera vidi la casella della posta intasata di volantini: erano tutte offerte per consegna di pizze a domicilio. Mi dissi: ci deve essere un modo migliore per farlo”.
Un sito Internet? Che c’è di geniale?
“Le pizze a domicilio riguardano soprattutto gli studenti. Portare il servizio di prenotazione online mi sembrò naturale. E così oltre ad un sito ho modificato una stampante di sms e l’ho trasformata in un dispositivo che sta nella pizzeria e che quando dal sito arriva l’ordine lo stampa e consente di rispondere impostando il tempo di consegna. Ho poi chiamato un mio conterraneo di Matera, Livio Linfranchi, perché si occupasse del marketing, cioè di convincere le pizzerie ad aderire al servizio. E siamo partiti”.
Come è stato l’inizio?
“Molto tradizionale. Abbiamo preso uno spazio nella città universitaria e ci abbiamo messo dei gonfiabili che promuovevano PizzaBo: la sera stessa i primi ordini erano già partiti”.
Chiariamo: voi non consegnate le pizze.
“No. Noi gestiamo gli ordini. E incassiamo una percentuale. Naturalmente la cosa funziona solo se i volumi sono alti”.
Parliamo dei volumi, quante pizze avete distribuito?
“Nel 2010 abbiamo gestito quasi 60 mila ordini. Nel 2014 quasi due milioni”.
Come avete fatto?
“Ci siamo allargati ad altre città universitarie. Pisa, Padova, Parma, Ferrara. E infine Milano, dove finalmente qualcuno ci ha notato”.
Non avete fatto molto per farvi conoscere.
“No, non ce n’era bisogno, eravamo impegnati a far funzionare il servizio”.
Con quali soldi siete partiti?
“Un piccolo prestito dei parenti. Niente venture capitalist. Non volevamo svendere la società”.
Ma avrete partecipato a qualche bando, a qualche gara.
“Un bando della Regione Emilia Romagna: ma ci dissero che non eravamo abbastanza innovativi. E poi “Il Talento delle Idee” di Unicredit: siamo arrivati terzi mi pare, ma tanto si vinceva solo una targhetta e con una targhetta non si va lontano”.
E invece a gennaio vi è cambiata la vita.
“Sì, abbiamo ricevuto una mail da Rocket Internet, un supergruppo tedesco che ha deciso di diventare leader mondiale sul cibo. Ci hanno chiesto dei dati e quando li hanno avuti il giorno dopo, anzi la notte dopo, c’erano dei loro emissari in sede a controllare tutto. La firma è arrivata in un baleno, l’offerta non si poteva rifiutare”.
Che offerta era?
“La cifra non si può rivelare, ma hanno preso il 100 per cento e hanno chiesto e me a Livio di continuare a gestire la società per almeno due anni. Entro il 2015 dobbiamo allargare la rete con altre 20 città, a maggio tocca a Roma”.
E adesso che farete?
“Si cresce, abbiamo preso una nuova sede a Parco Nord, stiamo facendo assunzioni, prendendo persone anche da gruppi importanti”.
Una bella rivincita, pensando a quanti hanno riso della startup delle pizze.
“Sì, in tanti in effetti. E poi non facciamo più solo pizze, ma anche kebab, cinese, sushi”.
Cambierete nome, che ricorda l’origine di Bologna, e magari il logo che è molto elementare?
“Il logo l’ho fatto io, mi piace, e anche il nome resta quello”.
Hai solo 29 anni. A 31 quando lascerai la società andrai su un’isola di nababbi?
“No, impossibile. Farò un’altra startup. E mi piacerebbe aiutare i più giovani, vorrei diventare un angel investor”.
Sei felice?
“Sì, ma una cosa mi dispiace: che la nostra startup, una startup di pizze, oggi non sia più italiana”.