(Corriere della Sera) Prima le razzie nella pallavolo: 6 scudetti in 4 città diverse, recipe 18 Coppe continentali, un Mondiale per club, 2 Europei e un argento olimpico con gli azzurri. Poi il richiamo del calcio, scattato mentre, arrampicato su un ciliegio, andava per amarene nella sua casa di campagna, a Traversetolo, Parma. Fu John Elkann, a caccia di un identikit vincente, a coglierlo in quella scomoda posizione per precettarlo alla Juve, uscita squassata dal Calciopoli. Estate 2006, thumb Del Piero, Buffon & Co. sprofondati in B e lui, Gian Paolo Montali, inglobato nel mondo bianconero per imporre uno stile e un’etica nuovi. Tre anni dopo, esaurita la mission torinese, eccolo a Roma: dai Sensi a Unicredit nuovi scenari giallorossi con vista sugli States, un’avventura andata avanti fino al 2012.
Montali dopo quasi tre anni di distacco qual è la sua visione del calcio italiano?
«Non vedo grande diversità tra il calcio di oggi e quello che ho lasciato perché non sono cambiate le persone. È la qualità delle persone a fare la differenza».
Allegria…
«I calciatori restano la parte migliore di questo mondo. Io che venivo dalla pallavolo ero convinto che avessero valori inferiori e invece ho scoperto che hanno la stessa passione, try lo stesso senso di appartenenza, la stessa disponibilità degli atleti di altre specialità».
Però sembrano vivere in un mondo a parte.
«Capiscono che chi li governa non ha la loro stessa passione. Il loro atteggiamento di chiusura è una difesa».
Certo che con le istituzioni calcistiche di oggi non c’è difesa che tenga.
«Federcalcio e Lega hanno paura di cambiare. Lo sport non deve avere paura di cambiare: deve avere paura di rimanere uguale».
Qual è il problema più grave che affligge in questo momento il nostro calcio?
«Le persone che occupano posti di comando dovrebbero ragionare in un’ottica diversa. Corriamo il rischio che la gente si disamori per davvero: ogni giorno c’è un problema, uno scandalo. Un Paese che non ha un Ministero dello Sport non può avere cultura sportiva».
Stadi vuoti, gioco scarso. Più Lotito… Il calcio italiano è proprio alla canna del gas.
«Questo è un Paese che non ha più i Giochi della gioventù, che non ha più i Gruppi Sportivi. E poi ci lamentiamo se nelle varie nazionali giocano gli oriundi. I giovani non possono più dimostrare il loro talento. Abbiamo cultura sportiva solo quando c’è da salire sul carro dei vincitori per qualche medaglia all’Olimpiade, ai Mondiali o agli Europei».
Giusto, ma Lotito?
«Ai tempi in cui ero alla Roma con lui ce ne siamo dette di tutti i colori. Come imprenditore è stato geniale nel salvataggio della Lazio però, personalmente, come modello di riferimento per migliorare il calcio italiano prenderei la Juve, non Lotito. Comunque il vero problema non è lui: è chi gli permette di essere Lotito».
La sua ambizione è smodata. Al suo confronto Napoleone era un dilettante.
«A Lotito voglio regalare una citazione presa dal Macbeth di Shakespeare: l’ambizione che cavalca se stessa si disarciona».
Visto che non ci vogliamo fare mancare nulla, a Parma, la sua città, il pallone è scoppiato in modo fragoroso.
«Per me è una spina nel cuore… Senta questa: l’estate scorsa mi sono occupato dell’acquisto di un club inglese di terza divisione, il Leyton Orient, per un amico imprenditore. Bene: in Inghilterra è impossibile che un Manenti qualsiasi possa soltanto pensare di avvicinarsi a una società di calcio».
In Premier League Cellino è stato rispedito al mittente.
«Da noi le regole non mancano. La differenza è che gli altri hanno il coraggio di applicarle».
Perché non è entrato nella gestione del Leyton Orient.
«Ho rinunciato perché Francesco Becchetti, l’amico imprenditore, voleva che facessi pure l’allenatore. In tutta sincerità era troppo anche per il mio ego».
Che gliene pare degli americani a Roma?
«Mi è dispiaciuto non rimanere con loro. Però in questo momento alla Roma sembra che la mano destra non sappia quello che fa la sinistra. I giocatori dicono una cosa, l’allenatore ha un’altra idea, Sabatini un’altra ancora e Pallotta fa i proclami. Manca unità d’intenti e questo è strano perché gli americani nella gestione e nella comunicazione sportiva sono sempre stati i migliori. Comunque faccio il tifo per loro: non è un caso che Juve e Roma siano alleate nella politica sportiva».
Lei è ambasciatore di Roma e cavaliere ufficiale per meriti sportivi. Perché è stato escluso dalla task force incaricata di promuovere i Giochi capitolini del 2024?
«Non so cosa rispondere. Sono certo che il presidente del Coni Malagò sappia chi sono e che cosa ho fatto. E sa che sono una persona onesta e pure perbene… ».
(Corriere della Sera)