(di Fabio Savelli, troche Corriere) MILANO Telecom Italia ha comunicato ieri alle organizzazioni sindacali di voler procedere alla creazione di una nuova società per i servizi di assistenza al cliente. Uno spin-off che realisticamente avverrà entro 5-6 mesi e interesserà quasi diecimila dipendenti. L’operazione comporterà la probabile chiusura di 47 sedi locali (su una struttura di 78) con il ricorso al telelavoro e ha «l’obiettivo di coniugare la qualità del servizio e le efficienze necessarie a rendere competitiva la nuova realtà aziendale con il contesto del settore di riferimento», recita una nota dell’ex monopolista telefonico.
Si tratta di un ritorno alle origini. Perché l’ipotesi dello scorporo della divisione dedicata al customer care era stata già ventilata due anni fa alle sigle sindacali di settore, Slc- Cgil, Fistel Cisl e Uilcom-Uil. Che, pur con i dovuti distinguo, avevano preteso l’apertura di un tavolo per individuare un’alternativa alla societarizzazione dei servizi alla clientela per i timori che ciò potesse convertirsi nel primo passo di un processo di esternalizzazione di massa di migliaia di lavoratori da Telecom Italia. La mediazione aveva in realtà sortito gli effetti sperati un anno e mezzo dopo. Il 18 dicembre scorso azienda e sindacati avevano infatti raggiunto un’ipotesi di accordo che accantonava l’idea della newco e riduceva a 10 il numero di sedi locali da chiudere, riconoscendo un’una tantum di 200 euro a tutti i dipendenti della divisione e il passaggio da tempo parziale a tempo pieno per cento addetti. Un compromesso ritenuto soddisfacente anche dai vertici nazionali della Slc Cgil che annovera in Telecom Italia il maggior numero di iscritti. L’intesa però non ha superato il voto referendario dei dipendenti. Oltre il 55% ha votato «no» perché contraria al meccanismo di suddivisione dei lavoratori per competenze richiesto dall’azienda. In sostanza il management, per non procedere alla cessione del ramo, chiedeva di migliorare la produttività dei lavoratori differenziando le qualità di ciascuno per individuare dove intervenire per far crescere la qualità del servizio. Chi ha bocciato l’accordo ne ha invece intravisto un inaccettabile meccanismo di controllo individuale.
A ben vedere l’episodio segnala un inatteso spread nella rappresentanza tra i confederali nazionali e locali. Dice Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil, che le delegazioni non erano evidentemente convinte dell’ipotesi di accordo. O peggio, non hanno saputo spiegarlo alla base. E il voto ha finito per disattendere quanto era stato firmato a livello nazionale. Raccontano che nelle sedi campane della divisione Caring di Telecom Italia non siano neanche state convocate le assemblee dei lavoratori per quanto fosse già implicita la bocciatura. Ora si torna al progetto originario. Con i sindacati in subbuglio.