Crediti a rischio, governo studia una garanzia pubblica per “salvare” le banche

padoan-675(Il Fatto Quotidiano) Palazzo Chigi e il Tesoro, physician secondo Repubblica, store hanno pronto un progetto che prevede l’impegno dello Stato a rifondere gli acquirenti dei prestiti difficili da recuperare. Il passo successivo è farli comprare dalla Bce, in modo da liberare gli istituti di una parte della zavorra. Ma, in caso di perdite, a pagare sarà lo Stato. Intanto Carige è crollata in Borsa dopo la bocciatura del bilancio da parte.

Mentre i titoli bancari restano deboli in Borsa, con Carige che ha chiuso la seduta a -11,6% dopo che la Consob ne ha contestato il bilancio 2013, spunta un piano del governo Renzi per aiutare gli istituti a disfarsi di una parte dei loro crediti in sofferenza. Con l’aiuto della Bce di Mario Draghi. Secondo Repubblica, infatti, Palazzo Chigi e il Tesoro hanno messo a punto un progetto – già inviato a Draghi stesso e alla Banca d’Italia – che prevede la concessione di una garanzia pubblica su 50 dei 180 miliardi complessivi di prestiti difficili o impossibili da recuperare che zavorrano le banche italiane. Lo Stato, insomma, prometterà dirifondere il compratore delle eventuali perdite. Con questoescamotage i crediti deteriorati godranno dello stesso merito creditizio della Repubblica italiana e diventeranno “papabili” perl’operazione di acquisto di Asset backed securities (Abs) lanciate nel settembre scorso dall’Eurotower. Si tratta, appunto, di titoli che “impacchettano” prestiti concessi a famiglie e imprese. Lanciando il piano, Draghi aveva precisato che la Bce avrebbe comprato solo i titoli più solidi, quelli che in gergo si definiscono “senior”, e quelli “medi” (“mezzanine”) ma solo se assistiti da garanzie pubbliche. Nessun cenno alla possibilità di compraresofferenze. Cautela inevitabile, visto che la Germania si è detta assolutamente contraria al fatto che l’Eurotower si riempisse la pancia di Abs. Figuriamoci se dentro quei prodotti finanziari fossero finiti anche prestiti ad alto rischio.

Eppure l’idea del governo, stando a quanto riportato dal quotidiano di Largo Fochetti, è proprio questa: convincere Francoforte ad acquistare crediti a rischio di insolvenza accollandosi il peso dell’eventuale default, cioè della definitiva impossibilità di recuperarli. Per avere un’idea dei numeri, venderne 50 miliardi significherebbe riceverne in cambio dalla Bce circa 20 (già in partenza è inevitabile un forte sconto legato alla bassa qualità del credito). Se poi, per ipotesi, il 40% di quei 50 miliardi si rivelerà irrecuperabile, la Bce batterà cassa. Chiedendo allo Stato italiano di versare la garanzia: in questo caso almeno 8 miliardi di soldi pubblici. Insomma, a conti fatti le banche potrebbero incassare 20 miliardi ma solo per effetto di una “stampella” pubblica pari a oltre un terzo della cifra. Una scelta che annullerebbe del tutto quella “eccezione” per la quale, come rivendicato più volte dal titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan e dal governatore di via Nazionale Vincenzo Visco, gli istituti della Penisola al contrario della maggior parte di quelli dell’Eurozona hanno ricevuto “pochi aiuti pubblici”.

La proposta, va detto, nasce da un gruppo di addetti ai lavoro e docenti universitari, dal presidente di Cassa depositi e prestitiFranco Bassanini al capo dell’ufficio analisi quantitative della Consob Marcello Minenna, dall’ex ministro e ad di SanPaolo-Imi Rainer Masera all’ex direttore generale dell’Abi Giuseppe Zadra fino all’economista Edoardo Reviglio, autori di alcuni paper sull’argomento per la Fondazione Astrid. Finora l’esecutivo non ha però mai ufficializzato la volontà di intervenire sul nodo dei crediti incagliati: a metà dicembre, rispondendo un’interrogazione parlamentare di Marco Causi (Pd), il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti ha detto che “l’eventuale ipotesi di interventi pubblici potrebbe consentire di liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento dell’economia”, ma “ne va valutata attentamente la compatibilità con i vincoli di finanza pubblica e con le regole europee sugliaiuti di Stato, anche in considerazione delle limitazioni che ne potrebbero derivare per la normale operatività degli intermediari”. Una cautela forse abbandonata alla luce del continuo aumento delle sofferenze: Bankitalia lunedì ha comunicato che a novembre il tasso di crescita anno su anno è stato del 18,4%.

Nell’attesa di verificare la fattibilità di questo piano, a Piazza Affari anche lunedì molte banche hanno perso terreno. Ancora male il Monte dei Paschi di Siena (-2,61%), dopo il crollo di venerdì. La maglia nera è andata però a Carige, che ha lasciato sul terreno l’11,6%, affossata ancora una volta dall’eredità dell’ex padre padrone Giovanni Berneschi. La Consob, durante il fine settimana, ha infatti comunicato di voler portare la banca in tribunale per imporle di annullare la delibera di approvazione del bilancio 2013. Nel mirino c’è però in realtà l’esercizio 2012, chiuso appunto dall’ex presidente arrestato l’anno scorso per truffa ai danni dell’istituto e al centro dell’inchiesta della procura di Genova. A essere contestata infatti è la mancata “rideterminazione dei valori degli avviamenti e delle partecipazioni nelle controllate bancarie e assicurative per l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2012?, che era stata chiesta a novembre 2013 e formalizzata in una delibera del gennaio 2014. La banca, che in questi giorni sta definendo i dettagli dell’aumento di capitale da 700 milioni reso necessario dalla bocciatura agli stress test della Bce, ha risposto che “confida che l’autorità giudiziaria confermi la correttezza del proprio operato e la conformità dei bilanci che ne disciplinano la redazione”. Certo è che l’intervento dell’authority guidata da Giuseppe Vegas, nell’occhio del ciclone dopo le dimissioni del direttore generale Gaetano Caputi, arriva a buoi ormai più che scappati.

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