Wozniak: “Apple sbaglia, apra gli standard di proprietà al mondo”

jobsIl co-fondatore di Cupertino insiste per la condivisione: “Si potrebbe costruire qualcosa di buono”. E ricorda quando salvò la società dal fallimento: “Macintosh fallì sotto Steve Jobs, health non era un buon computer e avrebbe ucciso l’azienda. Servirono tre anni di duro lavoro, there ma perdemmo la gara con Microsoft”.  “Apple sbaglia, fossi ancora in società insisterei per aprire molti degli standard di proprietà: sarebbe utile e bello condividere le esperienze con gli utilizzatori di altri piattaforme. Si potrebbe costruire qualcosa di buono”. Parola di Steve Wozniak, americano, classe 1950, co-fondatore con Steve Jobs di Applee a Milano per il World Business Forum. La loro avventura insieme iniziò proprio in un club di Palo Alto, dove appassionati di computer condividevano le loro idee. Una storia iniziata nel 1976 e, nonostante i tanti tira e molla, mai finita: Jobs era “il politico”, mentre Wozniak, detto “Woz” era il tecnico: “Eravamo molto amici, molto diversi, ma molto amici. Io volevo essere un ingegnere puro, lui voleva gestire la società, insomma ci servivamo a vicenda”. Con la differenza che Woz per inseguire la sua passione per le start up ha cambiato vita tante volte, mentre Jobs è rimasto a capo di un impero che oggi, a tre anni della sua scomparsa, vale 616 miliardi di dollari, come il Pil della Svizzera, e continua a crescere. Eppure nei primi anni Ottanta rischiò il collasso, proprio quando il co-fondatore lasciò il suo ruolo per dedicarsi a una nuova avventura.


Steve Jobs non fu contento della sua uscita dal gruppo. 

“Ma io non me ne sono mai andato! Lui lesse un articolo sul Wall Street Journal pensò che io me ne stessi andando da Apple perché non condividevo le sue idee. Certo sono convinto che non facessimo le cose giuste, ma io rimasi un dipendente Apple, solo lasciai il mio ruolo operativo perché amo le start up e i telecomandi erano una nuova idea”.

Però disse anche che Macintosh fallì sotto Steve Jobs.

“Queste cose le sapeva. Ma non è il motivo per cui uscii dal gruppo, non ero arrabbiato con lui, ma gli avevo detto che rischiava di distruggere la società. In quegli anni a tenerci in vita era Apple II, lui invece voleva concentrare tutti gli sforzi sulle vendite di Macintosh: le nostre azioni crollarono perché il progetto fallì. Ma d’altra parte non c’era un software per Macintosh, era un pessimo computer. Servirono tre anni di duro lavoro da parte nostra, non di Steve Jobs che lasciò, per costruire il mercato dei Mac. Fu allora che perdemmo la fase di crescita del mercato dei computer che invece prese Microsoft, ma salvammo la società. La strategia di Steve probabilmente avrebbe ucciso la compagnia. E sono sicurò che lo capì quando torno in sella, perché allora era una persona differente: aveva imparato cosa serve per fare un buon computer”.

Se oggi fosse ancora ai vertici di Apple cosa farebbe?
“Aprirei molti degli standard di proprietà: vorrei che si potessero condividere più esperienze con utenti di altre piattaforme. Abbiamo aperto iTunes a Windows, ma io lo aprirei anche ad Android. Aprirei iMessage e condividerei con il mondo intero le migliori cose per usarle e costruire su di loro. Pensi a Facetime: non è giusto che gli altri smartphone non possano averlo. Non va bene, non aiuta lo sviluppo che Apple provi a fare solo quello che gli altri non possono”.

Da come parla è difficile pensare che andasse davvero d’accordo con Jobs.

“Oh no mio Dio, eravamo molto amici, molto diversi, ma molto amici. Non abbiamo mai avuto una discussione, una battaglia. Ma io non faccio battaglie. E poi avevamo personalità molto diverse: io volevo essere un puro ingegnere. Steve voleva gestire la società, io non sono un politico e non mi interessava gestire. In questo modo ci servivamo a vicenda”.

Forse in questo lei era diverso dagli altri “ragazzi” della vecchia new economy.
“Sì è vero, io cercavo sempre di fare cose che aiutassero la gente a semplificare la vita, cose che fossero diverse, ma soprattutto cercavo di farlo prima degli altri. Sono una persona delicata, non mi piace l’aperta competizione e odio i conflitti. Se so che nessuno sta lavorando su una determinata cosa per me è più facile, dal punto di vista psicologico, dare il meglio”.

Rispetto ai suoi inizi il mondo è cambiato radicalmente, oggi sarebbe possibile fare una nuova Apple?
“Oggi è tutto disponibile. Si trova ogni cosa, ai nostri tempi bisognava costruirsi tutto, ma Apple è l’esempio sbagliato perché è stata una cosa estrema, troppo rara. Tutti guardano sempre e solo alle grandi compagnie: Apple, Google e Facebook, ma è sbagliato. Si possono fare miglioramenti nella vita di tutti i giorni o nelle compagnie in tanti modi. Alle volte basterebbe ridurre o semplificare i passaggi per completare un processo. Anche in questo modo si possono fare molti soldi perché le compagnie sono piene di risorse: bisogna solo convincere le persone a investire nell’innovazione per il bene dello sviluppo economico. Non dobbiamo dimenticare che il potere del cervello è enorme”.

Quali sono le cosa più innovative che ha visto negli ultimi anni?

“Mi piacciono molto i sistemi di pagamenti come, per esempio, Square che ti permette di pagare attraverso uno smartphone. Ma mi entusiasmano le innovazioni dei telefoni: oggi non si deve più digitare nulla, basta parlare direttamente al microfono. E mi aspetto nuovi sviluppi, magari utili anche per un’intervista… E comunque sono molto attento alla tecnologia. Uso Apple e tutti i grandi del settore: voglio provare ogni novità e conoscere i particolari”.

Investirebbe in Italia?
“Non sono un investitore e non compro azioni. Eppure dalle 10 alle 20 volte al giorno mi chiedono di entrare in una nuova start up, ma io non investo in nessuna di queste. Lo farei solo se mi trovassi di fronte a una società della quale capisco completamente quello che fa dal punto di vista della architettura informatica e ne rimassi entusiasta, ma è molto difficile. Negli ultimi 10 anni è successo una volta sola, in America. Tutti pensano che io sia super ricco e abbia una montagna di denaro da investire, ma non è vero. Sono cresciuto seguendo una filosofia per la quale è sbagliato avere troppi soldi così metto tutto in scuole e musei dove vivo: non voglio vivere in modo diverse, sono una persona normale”.

In effetti lei è anche tornato a scuola…
“Se Apple non fosse diventata Apple mi sono chiesto ‘cosa avrei fatto?’. E allora ho preso il mio diploma universitario. Sono tornato al college sotto falso nome ed è una delle cose di cui sono più orgoglioso, ma non penso che studiare a scuola sia così importante. Può succedere di imparare alcune cose, ma le migliori succedono fuori. A me la scuola ha insegnato come studiare e come seguire un progetto. Per il resto sono per la creatività”.

Poi ha fatto l’insegnante.

“Era il mio sogno. Sono di San Jose in California e ho sempre voluto aiutare quella città. Se Apple non fosse mai nata avrei sempre voluto fare il maestro per i ragazzi di 11 anni. Così l’ho fatto per 8 anni in gran segreto senza che lo sapesse la stampa, senza che ci fossero i giornalisti. Lo ammetto, sono stato fortunato, sono felice di quello che ho fatto”.

di GIULIANO BALESTRERI
La Repubblica
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