Esperimento di un professore dell’Università dell’Illinois: a due gruppi di lavoratori viene chiesto di svolgere mansioni con un camice bianco. Agli uni si dice che è ‘da medico’, agli altri ‘da pittore’: alla fine coloro che indossano i panni del medico fanno un lavoro più rigoroso. Il consiglio: vince chi indossa abiti che fanno sentire a proprio agio.
L’abito non fa il monaco: ma il lavoratore sì. Almeno secondo uno studio condotto da Adam D. Galinsky, che insegna Management presso la Kellogg School della Northwestern University, l’Università americana con sede in Illinois. Attraverso gli esperimenti che Galinsky conduce già da qualche anno, ha dimostrato come il semplice atto di indossare certi abiti aiuta a migliorare le prestazioni. Gli studiosi lo hanno definitoenclothed cognition, che potremmo tradurre con cognizione indossata ocoscienza dell’abito. E si basa sull’importanza simbolica che diamo ai nostri vestiti, ma anche sull’esperienza fisica di indossarli.
Per trarre le sue conclusioni, lo studioso ha svolto diversi esperimenti, fra cui il più interessante è quello nel quale ad alcune persone è stato fatto indossare un camice bianco e poi è stato loro chiesto di svolgere alcune mansioni. Ma se ad alcuni veniva detto che quel camice immacolato era un camice da dottore, ad altri veniva spacciato per quello di un pittore. Il risultato è stato che chi pensava di indossare il camice da medico ha realizzato performance migliori di quelli che credevano di essere nei panni, sia pure immacolati, di un pittore.
Interviste successive hanno dimostrato che il camice del dottore suggeriva accuratezza, attenzione, prudenza: mentre quello del pittore era più legato all’idea di caos creativo. E l’esperienza fisica di indossare quel capo faceva sentire i soggetti che partecipavano all’esperimento letteralmente investiti del ruolo simbolico che il camice suggeriva: proprio come un costume spinge a seguire le regole di un gioco di ruolo. Questo perché, spiega il dottor Galinsky “non pensiamo solo con il nostro cervello: ma anche con il nostro corpo”. Ovvero i nostri processi mentali si basano su esperienze fisiche associate a concetti astratti e anche il semplice fatto di indossare un abito anziché un altro rientra in quei processi.
Ma non è solo il senso di sicurezza che alcuni abiti offrono a chi li indossa ad influire sulle prestazioni. Certo, giacca e cravatta per gli uomini o i tailleur per le donne sono da tempo considerati alla stregua di corazze contemporanee, che aiutano a far sentire più sicuri di sé chi li indossa. Ma gli esperimenti dello studioso americano hanno notato anche un’altra cosa: una persona naturalmente ben vestita ispira più fiducia nei suoi colleghi: a patto, però, che il gusto coincida.
La chiave, spiega lo scienziato, è la coerenza di stile: “L’abbigliamento colpisce perché incarna il modo in cui altre persone ci vedono, ma anche cosa pensiamo di noi stessi e esprimiamo con i nostri abiti”. Infatti un altro esperimento condotto da Galinsky ha dimostrato che le donne che si presentano a colloqui di lavoro vestite in modo rigoroso, con capi più maschili che femminili, hanno maggiori probabilità di essere assunte. E quelle che indossano abiti formali cul posto di lavoro sono percepite come più intelligente delle colleghe che vestono in maniera casual.
Ma perché allora negli anni Novanta – con il boom dei dotcom – l’abbigliamento casual sul lavoro diventò la nuova moda? In quel contesto il concetto era rendere più smart e giovane il proprio aspetto: in linea con la modernità della proposta.
La cosa migliore, suggeriscono però gli esperti del settore, è di squisito buon senso: indossare sempre e solo abiti che fanno sentire a proprio agio. Perché l’atteggiamento del corpo in un abito inadatto dice molto più di chi lo indossa di qualunque capo firmato.
La Repubblica