MA OGNI TANTO BISOGNA FAR SCORRERE IL SANGUE
E’ SCETTICO SULLE SCELTE DEL CENTRO SINISTRA. CONSIDERA CRAXI E DE GASPERI GLI UNICI PERSONAGGI DI RILIEVO DEL DOPOGUERRA. RIVENDICA LE INTUIZIONI PRE-NEW ECONOMY E DIFENDE LE PESANTI RISTRUTTURAZIONI NELLE SUE SOCIETA’. COSI L’EX NUMERO UNO DI STET E TELECOM RICOSTRUISCE I SUOI RAPPORTI COL POTERE E PARLA DI AGNELLI, DE BENEDETTI, PRODI, AMATO, RUTELLI…
Intervista di Cesare Lanza su “Capital”
Ecco una terrazza davvero magnifica, un attico nel centro di Roma: da una parte il Quirinale, dall’altra tutta la città. Il gatto Max, un ex trovatello che per caso ha incontrato una straordinaria fortuna, si aggira sornione e sicuro di sé. Ernesto Pascale, il manager che dominò le telecomunicazioni, commenta con ironia: “E’ diventato il padrone di casa” e mi invita a sedere in salotto. Dice subito: “Scommetto che lei vuole parlare molto del passato mentre a me farebbe piacere parlare del futuro, pensare al futuro, come ho sempre cercato di fare nella mia vita.”
Lo guardo, un po’ afflitto, senza rispondere.
E lui: “E’ così?”
– Ammetto, è così. Lei, l’ex re di Stet, Sip e Telecom, ha conosciuto gli uomini di maggior potere in Italia negli anni ottanta e novanta e, dunque, io vorrei farle soprattutto alcune domande sul potere che ha esercitato e conosciuto. In particolare, il suo parere sugli uomini più importanti che ha incontrato.
“Avanti…” dice, con un mezzo gesto di rassegnazione.
– Il primo nome che mi viene in mente, Carlo De Benedetti.
“ Probabilmente è vero che non è un gestore industriale. E tuttavia non è solo un finanziere, come molti tendono a liquidarlo. De Benedetti è uno che anticipa i tempi, capisce prima, intuisce le evoluzioni delle cose.
– Gianni Agnelli?
“ L’ho conosciuto poco. Ma mi restano impresse in mente l’ironia e l’acume intuitivo,
folgorante.
– Cesare Romiti?
“ Beh, lui è davvero uno dei più grandi manager della nostra epoca, con la capacità di arrivare subito all’essenza del problema e di decidere rapidamente.”
– Silvio Berlusconi?
“Un eccezionale imprenditore, c’è bisogno di dirlo? E organizzatore. Colpiscono il consenso, l’adesione e la gratitudine che ha avuto dai suoi manager e dagli amici-collaboratori che ha costruito intorno a sé, il rispetto e la devozione che gli hanno dimostrato. E saper creare un gruppo di acciaio è un merito straordinario per chi guida un’azienda, per qualsiasi capo.”
– Un uomo relativamente nuovo, Tronchetti Provera.
“ E’ molto attrezzato professionalmente ad affrontare gli eventi, rischi e difficoltà.
Capisce a meraviglia l’evoluzione del business.”
– Vorrei chiederle anche del nume che vegliava sui tutto, Cuccia…
“ Un uomo lucido e di cultura superiore. Riservato, come chiunque sa. Ma non è
vero che, privatamente e nel suo lavoro, non esprimesse giudizi, anche forti. Era un cruciale punto di riferimento, il più attendibile anche per gli operatori stranieri interessati a sviluppare affari in Italia…”
– A proposito di estero. Lei parla con stima evidente di questi personaggi. Vuol dire
che in fatto di imprenditorialità e managerialità non abbiamo niente da invidiare agli altri?
“ In un confronto Italia – estero, è indispensabile una distinzione: da una parte, indubbiamente, abbiamo formidabili individualità e talenti, dall’altra molti risentono dei difetti del nostro sistema, dell’incertezza delle regole, delle carenze di struttura…”
– E questo cosa comporta?
“ Negli anni cinquanta e sessanta esisteva una grande capacità progettuale. Oggi, mi sembra svanita. Parlo del settore economico, ma anche istituzionale e politico. Basti pensare ai grandi progetti di una volta, a titolo di esempio mi viene in mente Olivetti con i suoi obiettivi… E oggi? Pensiamo, come esempio, al sistema autostradale e alla necessità di rifarlo. Parole e parole. Tutto si consuma in estenuanti dibattiti, sempre sugli stessi temi, e non si fa niente.”
– Forse la spiegazione sta nel fatto che in quegli anni c’era la necessità di ricostruire un Paese distrutto dalla guerra, c’era maggior tensione morale.
“Forse. Le spiegazioni sono sempre complesse. E certamente la selezione delle persone seguiva criteri più meritocratici. La mia, comunque, è solo un riferimento allo stato delle cose e alla difficoltà, forse l’incapacità di cambiare problemi cronici. Vogliamo parlare ad esempio di giustizia? Ecco: io sono un cittadino di serie B, ormai!”
– Che vuol dire?
“Per la mia età, io non posso (nel senso che non ho interesse) intentare più una causa civile. Per arrivare al traguardo di una causa civile oggi in Italia ci vogliono dieci anni. Superata una certa età – ovviamente il discorso vale per tutti – di fatto devi rinunciare alla speranza che la giustizia civile, per la sua lentezza, possa assisterti in tempi utili !
E così ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B, per questo aspetto, a prescindere da tante altre considerazioni che si possono fare sulla giustizia. Sulla giustizia come su tanti altri settori dell’amministrazione dello Stato.”
– Sento una forte amarezza. E anche pessimismo?”
“ Ma no. Mi limito a fare una fotografia della nostra situazione.. E’ un peccato che un
Paese vitale e straordinario come il nostro non riesca né a sfruttare in pieno né a razionalizzare le sue risorse.”
– La storia ricorda che, in queste situazioni, a volte è necessario un evento traumatico. Per cambiare.
“ Sono d’accordo, alla guida delle mie aziende io ho sempre sostenuto che – per ristrutturare e creare – deve scorrere, prima, un po’ di sangue. Ci vuole un trauma, per riaggiustare ciò che non funziona. Ma vede, in questo nostro strano Paese siamo riusciti a sciupare anche l’ultima opportunità traumatica…”
– Capito a cosa si riferisce!
“ Ovvio, parlo di Tangentopoli. A prescindere da torti e ragioni, indubbiamente si è trattato di un trauma epocale. Una rivoluzione. Ma in campo sociale e politico che cosa ha portato? Niente, non ha dato frutti. Non ha portato né nuove idee né nuovi uomini.”
– Dunque, una rivoluzione inutile?
“ Il quadro è sotto i nostri occhi. Abbiamo assistito a un trasformismo esasperato,
tipico della storia italiana. Perché gli italiani, diciamocelo con franchezza, non sono né sognatori né poeti. Sono gente pratica, molto pratica.”
– Vuol fare un esempio preciso, anche in poche parole?
“Un esempio? Il somo italiano è sempre stato diviso tra due anime, liberale e
massimalista, fino alla scissione del ’21. Ed ecco che, oggi gli ex comunisti si sono dichiarati eredi dei soti liberali, senza esserlo mai stato. E non c’è stata una parola significativa, a fronte di questo: non dico di dissenso, ma anche solo di vigoroso commento. Così è nata una nuova classe politica dirigente, usurpando tradizioni che non
le apparteneva. E con l’aggiunta di clamorosi casi tipici da sindrome di Stoccolma…”
– Mi faccia un esempio chiaro, per favore.
“ Di sindrome di Stoccolma, ad esempio, Giuliano Amato soffre certamente.”
– Lo ammetta, allora: il suo è proprio un forte pessimismo.
“ No. Come dicevo, l’Italia è un Paese talentuoso e ricco di vitalità. E la new economy, per fare riferimenti ottimistici, è uno snodo, sarà un filone importante. E sono convinto che non ci sia contrapposizione con la old economy. Il mercato costringe a un incontro, se si vuol restare competitivi. La new economy porta capacità creativa, velocità di cambiamenti, minori necessità di investimenti, gruppi di lavoro più piccoli, razionali e affiatati, spalanca le porte ai giovani…”
– E tutto questo è adatto al clima italiano.
“Sì. La scena italiana oggi è molto movimentata, consente che anche piccoli astri,
satelliti, riescano a mettersi in evidenza, a brillare di luce propria.”
– Investimenti minori? Vorrei dire, senza competenze specifiche: ci si lamenta
spesso di troppe illusioni e della necessità di investimenti colossali e a lungo termine, per esistere, ad esempio in Internet.
“ Macchè. Pensi solo, per fare un confronto, alla necessità dei giganteschi investimenti, una volta, nel settore della siderurgia. Non c’è paragone. Oggi ci sono opportunità adatte alla fantasia e all’estro dei piccoli imprenditori italiani, accessibili in termini di finanziamento. E’ una partita che possiamo giocare.”
– Anche in competizione con l’estero?
“ Anche. Certo dovremo scontare, come dicevo, l’handicap del nostro lento sistema. E come sempre siamo partiti in ritardo: solo nel ’99 le cose hanno cominciato a muoversi.
Qualche tempo fa mi è piaciuto un bell’articolo di Carlo De Benedetti su Repubblica. Inm sintesi diceva: finito il computer, comincia l’era della fibra. Ottimo. Mi permetto di osservare che questa cosa l’avevo capita da tanti anni, alla Telecom, col piano Socrate.”
– Lei disegna, con forza, una scena che rispecchia l’eterna identità italiana, una contradizione storica e forse irrisolvibile: da una parte un sistema politico e istituzionale burocratico e arretrato, disorganizzato e in ritardo; dall’altra, sprizzi e lampi di fantasia e di capacità imprenditoriali individuali. E’ così?
“E’ così. Ad esempio, come si fa a parlare di riforma della scuola, di istruzione
pubblica, senza legarsi contestuialmente alle opportunità suggerite, anzi dettate dalle nuove tecnologie?”
– Anche nella new economy scorrerà parecchio sangue?
“ Ci sarà una selezione naturale e inevitabile.”
– Viene in mente il nome di un geniale precursore, Niki Grauso. Ha capito tutto in largo anticipo, eppure…
“ Sì, Grauso ha capito prima degli altri, esprimendo grandi capacità. Purtroppo per lui, però, la sua azienda ha accusato una crisi finanziaria.”
– Forse pagando anche colpe non sue. E così vorrei tornare al tema proposto inizialmente, il potere. Esiste una vocazione per l’esercizio del potere? Lei ad esempio è nato con questa vocazione?
“ Nel quadro del potere, io mi descriverei come un caso anomalo. Nel senso che se per potere si intende la capacità di prendersi responsabilità e decidere, la risposta è sì, credo di possedere queste doti. Se invece si intende anche il gusto di decidere il destino altrui, al contrario questo non mi affascina affatto. E, poi, sempre meglio avere anche un pizzico di auto-ironia…”
– Mi dica.
“ Ricordo che, al liceo Visconti a Roma, avevo una professoressa di matematica e fisica, che si era convinta che io fossi un piccolo genio, nelle sue materie. Non era affatto vero. Ma mi chiamava, mi interrogava solo per correggere i miei compagni, se sbagliavano. All’università, in seguito, ho studiato giurisprudenza e molti miei compagni, che al liceo erano più bravi di me, hanno svettato in matematica e fisica. Però quella professoressa mi dava ottimi voti.”
– Cosa vuol dire, questo? Che a volte non è vero quel che è vero, ma è vero quel che appare?
“ Sì. a volte. E’ anche importante farsi una buona fama.”
– Altra domanda: il potere è inevitabilmente violento?
“ Impone soluzioni anche violente, certo.”
– E lei è pentito di aver fatto qualcosa di violento?
“ Pentito no, dispiaciuto sì. Ad esempio, quando si tratta di licenziare persone che danno in buona coscienza tutto quello che madre natura consente loro di dare, e tuttavia non sono funzionali alle esigenze dell’azienda, un manager compie un’operazione giusta, ma violenta. A me è successo di dover procedere senza concessioni, nelle ristrutturazioni all’Italcable e alla Sip.”
– E anche lei in seguito, a sua volta, dal potere ha subito violenze.
“Se vogliamo dire così. Sì… quando ruppi con la Stet per andare alla Sip e poi quando uscii da Telecom, nel ’97.”
– Ha sofferto, com’è stato per lei il trauma, avvertito sulla sua pelle?
“ Non ho sofferto più di tanto, forse perché ero preparato. Vorrei però ricordare qualcosa…”
– Dica.
“ Ero accusato di due cose: il piano Socrate, per l’introduzione delle fibre, e gli accordi internazionali non realizzati, verso i quali ero diffidente. La storia mi ha dato ragione pienamente in tutti e due gli argomenti, direi.”
– Mi parli ora dei rapporti con la politica. Esistono persone verso i quali lei sente di esprimere una stima particolare?
“Nella storia italiana del dopoguerra esistono solo due personaggi di rilievo straordinario, Alcide De Gasperi e Bettino Craxi.”
– Questa è un’osservazione chiara e di notevole interesse. Però a me interesserebbe sapere anche quali fossero i rapporti con i vari uomini politici, i capi delle segreterie e delle correnti…
“ Sono stato descritto via via come sota, fanfaniano, andreottiano, demitiano, gavianeo e infine come simpatizzante di An. Non mi riconosco in nessuna delle varie etichette. Sorridiamone. ”
– Di tutto, un po’…?
“ Seriamente, credo di aver avuto un rapporto positivo con la politica e di non dover vergognarmi di nulla. Ho difeso primariamente gli interessi dell’azienda e degli azionisti, perchè ho sempre lavorato in società quotate in Borsa. Come mi ha insegnato un grande manager, il mio primo direttore generale alla Stet, Guglielmo Romoli Reiss. Il primo principio per un manager è la tutela degli interessi degli azionisti. E devo dire che non ho mai subito conseguenze negative per me, salvo che al momento dell’uscita da Telecom.”
– Mi piacerebbe ora che lei indicasse una sua “Nazionale” dell’economia, una squadra ideale di imprenditori e manager.
“ Di alcuni ho già detto: Tronchetti Provera, Reiss Romoli… Inserirei anche Vito Gamberale. E molto bravo era anche Tommaso Tommasi, se a Telecom gli avessero dato il giusto tempo per operare. E poi Ernesto Manuelli. E Corrado Passera… Si potrebbe continuare, capisco le sue curiosità giornalistiche. A proposito, lei sa che sono stato giornalista anch’io?”
– No.
“ A “Il Tempo”, a diciotto anni, quando era direttore Renato Angiolillo. Facevo il correttore di bozze. E poi fui promosso, lavorai alle edizioni di provincia. Ma forse non era la mia vocazione.”
– Ricordo invece alcuni articoli in prima pagina sul “Messaggero”, qualche anno fa.
“Sì. In quel caso la collaborazione si interruppe quando il direttore dell’epoca
non pubblicò un mio articolo. Me ne chiesero un altro e io risposi: prima pubblicate
quello, poi ne scrivo un altro. E il la cosa si chiuse lì.”
– Torniamo al potere e alla politica. Lei si considera un boiardo?
“Sinceramente, l’espressione mi dà fastidio. Io ho cominciato come impiegato, dai livelli più bassi. Ed ero io a considerare “boiardi” quelli che la politica faceva piovere nelle aziende. Di rado, bisogna dire, nel settore delle telecomunicazioni. Mi sorprendeva che Romano Prodi parlasse male dei boiardi: il primo boiardo era lui! Per quanto mi riguarda, io mi considero un dirigente di azienda.”
– Com’erano i rapporti con Prodi?
“ Ottimi… Per lo meno da parte mia. Da parte sua, probabilmente non mi considerava ubbidiente.”
– Cosa succederà, in questo 2001, caratterizzato da elezioni definite cruciali?”
“ Una transizione che ha portato ad Amato mi lascia perplesso. E ora…”
– E ora?
“ Lasciamo perdere.”
– Ma no, perché lasciar perdere?”
“ Va bene, dico solo che un centrosinistra che prima ricorre ad Amato come leader e e poi sceglie Rutelli… insomma: mi sembra che ci siano poche cartucce da sparare. E come spesso succede in Italia, c’è anche un aspetto paradossale.”
– E cioè?
“ In precedenza, il centrosinistra si è permesso di abbattere, in modo spietato, un uomo come D’Alema… Questo è il paradosso.”
Ma ora Pascale non vuol dire proprio di più.
Mi congedo. Il bel sole invernale di Roma entra dalla terrazza in salotto. Sulla terrazza il padrone del territorio è sempre il gattone Max, maestoso, fiero del suo folto pelo biondastro. Da un cornicione si affaccia e guarda in giù. E, forse, Pascale sta pensando che almeno Max, da bravo gatto trilussesco, ha capito, anzi ha “sgamato” tutto: il modo giusto per vivere a Roma è osservare le cose, assistere agli eventi con quell’aria un po’ sorniona e un po’ felina, ma senza coinvolgersi, sempre, più di tanto.
Cesare Lanza
Febbraio 01