LA MIA REPUBBLICA
I rapporti con Scalfari e Mieli, quelli con i concorrenti, l’odio per il gossip e per i salotti. Poi le innovazioni, l’orgoglio per le vendite in crescita… Il direttore del quotidiano di piazza Indipendenza si confessa a 360 gradi. E dopo le elezioni? «Se vince Berlusconi, saremo dall’altra parte, ma senza faziosità».
Intervista di Cesare Lanza su “Panorama”
Ezio Mauro, direttore de La Repubblica
Quando Ezio Mauro, direttore della Repubblica, mi riceve nel suo ufficio di Roma in piazza Indipendenza, mi mostra subito il bel supplemento preparato per il 25° compleanno (14 gennaio 2001) del suo giornale. Piemontese, 52 anni, Mauro appare raramente, e forse malvolentieri, in pubblico. È al quinto anno di direzione del prestigioso quotidiano legato, forse indelebilmente, all’immagine del fondatore, Eugenio Scalfari («Dalla teocrazia alla democrazia» dice scherzando, ma non troppo: «Con Eugenio abbiamo un bellissimo rapporto e certo non era previsto per contratto»). Prima, Mauro aveva diretto La Stampa, arrivando a vendere 426 mila copie, un record per il giornale degli Agnelli.
In una città seduttiva e tentatrice come Roma, sei considerato anche un personaggio atipico, originale, perché non frequenti i salotti. Mai. È così?
Vero. Al massimo sono andato qualche volta in casa Scalfari.
Scelta di vita?
Era così anche a Torino. Quando andai via, Agnelli mi chiese quante volte in tanti anni avevo partecipato a un ricevimento. Quattro, risposi. Anzi, no: tre.
Scusa l’insistenza: perché?
Uno dev’essere giudicato per il lavoro che fa. Quello che sei, lo vedi dal giornale che fai. E gli amici diventano quelli con cui lavori, con cui godi e patisci per una notizia in più, una notizia in meno…
Dunque per te il lavoro è tutto?
È l’identità. E il giornale è il tuo mondo. Anche un’avventura culturale, un modo di giocare: con i colleghi si scherza, ci si diverte. Misurando di continuo la bella scrittura e la buona lettura. Leggi un articolo e capisci subito dall’odore, dalle prime righe, se è buono o no. Altro che salotti!
Altra cosa che eviti come il diavolo è il gossip.
Vero. E sono felice di averlo tenuto lontano dai miei giornali.
Eccoti allora una domanda da gossip: nei salotti che non ami, ma anche in ambienti giornalistici, si parla di una ruggine, o di una rivalità competitiva, con Paolo Mieli.
Falso. Alla Stampa io ero il suo condirettore, abbiamo vissuto una stagione splendida. A Paolo ho consegnato un mese fa il premio Grinzane, e abbiamo chiacchierato a lungo, con piacere. Per il resto, è vero che non ci vediamo e non ci sentiamo, forse perché sono competitivo e mi batto con i concorrenti, senza concessioni.
Se fossi un calciatore, in quale ruolo giocheresti?
Con il numero 8 di una volta, a centrocampo. Distruggere e costruire.
Visto il curriculum, cosa scriviamo sul biglietto da visita? Ezio Mauro, direttore?
Preferirei Ezio Mauro, giornalista. Mi piace dirigere un giornale. Ma mi sono divertito molto anche nei primi anni alla Gazzetta del popolo e in quelli da corrispondente a Mosca e da inviato, quando il mondo cambiava sotto i nostri occhi. Andare, guardare, raccontare… Si diventa giornalisti per questo.
Parliamo della «Repubblica». Cos’è cambiato, in questi anni, nei giornali?
Un mio amico tornato dall’America mi ha detto: sono comparse, finalmente, le tariffe.
E che vuol dire?
Una volta, giganteggiavano pochi personaggi simbolo, scritti con le maiuscole. Era il giornalismo del «chi»: l’Avvocato, l’Ingegnere, il Contadino, il Cavaliere… Ora siamo passati al «come»: orientarsi, investire, scegliere… Dalle imprese di pochi protagonisti alle esigenze, concrete, della gente. Il giornalismo economico è ruotato di 180 gradi.
E poi?
Altra rivoluzione, la riduzione della politica, che non è più trasversale, interessa e appassiona meno la gente. Per la Repubblica il cambiamento è particolarmente importante perché la trasversalità di questo grande giornale passava attraverso la politica. Oggi lo spazio, cioè le pagine, per la politica si è ridotto di oltre un terzo.
Sostituito da che cosa?
Questo è il punto. Un buon giornale non è solo un fascio di notizie, come le agenzie o Internet. Deve cogliere e trasmettere il senso della giornata. Una volta la politica era protagonista anche quando non lo meritava. Quasi una supplenza. Oggi gli interessi sono diversi, c’è un rifiuto evidente del lettore per le futilità, prevalgono altri argomenti, il «significato» della giornata va cercato altrove: la guerra in Kosovo, il Nasdaq, i mutamenti in economia e in Europa, l’immigrazione, la cronaca di spessore sociale, la vita concreta e reale della gente…
E «la Repubblica»?
Il cambiamento più notevole è nella cronaca, che da noi sta diventando ciò che la sezione «Life» è nei giornali americani. Pagine di interesse trasversale: si parte da episodi grandi o minuscoli, si attinge a scienza, medicina, genetica, famiglia, benessere, alimentazione, eventi culturali… E la Repubblica, come in politica, anche in queste tendenze è opinion leader.
Si avverte un certo orgoglio…
C’è un lavoro di gruppo. Queste nuove pagine sono affidate a due giornalisti, Mauro Piccoli e Riccardo Luna, ma riflettono un lavoro di équipe, alla ricerca di novità, del costume collettivo, del modo di vivere. E gli altri giornali, da Corriere e Stampa in giù, ci vengono dietro, a volte con la stessa collocazione e grafica. Come per altre innovazioni in prima pagina, i richiami in alto, «La storia», un episodio rilevante di cronaca, o «Le idee», articoli di particolare pregio, firmati da letterati, studiosi, personaggi famosi nel loro campo.
Dopo la valorizzazione delle tue truppe, fammi almeno i nomi di qualche giornalista che ti piace, tra i concorrenti.
Gian Antonio Stella del Corriere e Maurizio Molinari della Stampa. Stella è bravo nel partire da un piccolo episodio di cronaca e farne una metafora della vita italiana. Molinari è tosto e serio.
E il pubblico come reagisce? Riuscirete a superare il «Corriere della sera»?
Non faccio proclami. La crescita si sente dalle cifre: 5,91 per cento di media nei primi dieci mesi del 2000, 7,6 a novembre. Il pubblico? Ogni giorno abbiamo l’indice di gradimento e di lettura di ogni articolo e ne discutiamo in riunione.
Alla politica abbiamo dedicato poco spazio, anche qui. Eppure, nel 2001 ci saranno elezioni cruciali. Come si comporterà «la Repubblica»? Previsioni?
Silvio Berlusconi è in vantaggio, leader indiscusso com’è del suo Polo. Francesco Rutelli può fare la partita se scioglie lacci e lacciuoli degli alleati.
E dopo?
Se vincerà Berlusconi, faremo un giornale non fazioso, dall’altra parte del campo. Saremo sereni e severi. Se vincerà Rutelli, lo incalzeremo.
Torniamo ai giornali. Riferimenti stranieri?
Usa Today mi piace. Ma i giornali stranieri si dividono tra quelli di qualità e i popolari. In Italia questa distinzione non c’è, quindi abbiamo il compito, non facile, di incrociare l’alto e il basso della giornata.
E, dicevi, niente gossip.
Il gossip è il mal sottile del giornalismo italiano: non spiega le situazioni, è un modo irresponsabile per far male a qualcuno nascondendo il braccio. Alla Repubblica non si usa il giornale per questi scopi. Né sgambetti né calci negli stinchi. Pubblichiamo articoli duri, ma sempre firmandoli con nomi e cognomi e mai usando dicerie private e maldicenze. Comunque il gossip è finito: chi lo ha fatto se ne vergogna un po’.
Altri cambiamenti?
Abbiamo abolito il «caporedattore unico». Una volta i capiredattori dei giornali si sentivano al pomeriggio, per confrontarsi. E i giornali seguivano schemi simili o identici. Oggi, stop: da noi, né telefonate né accordi. Facciamo le nostre scelte, il confronto si fa il giorno dopo.
E tra direttori vi sentite?
Praticamente mai. Scherzo al telefono con Enrico Mentana. Con Ferruccio De Bortoli ci sentiamo per gli auguri di Natale, una volta l’anno, ripromettendoci sempre di vederci. Il rapporto è corretto, senza critiche né attacchi: è un concorrente serio. Mi sento poco anche con Marcello Sorgi, che pure è un vecchio amico. Così è la vita, se fai questo mestiere.
Mai pensato di dirigere il «Corriere»?
No. Se uno è qui, non pensa ad altro.
E quando senti voci su un tuo addio alla «Repubblica»?
Qui sto benissimo. Sono voci di cattivi cronisti, come sempre male informati. Con poco lavoro da fare, tanto tempo da perdere e altrettanta invidia.
25 anni e non li dimostra
Un supplemento per il compleanno. E nuove iniziative
La storia d’Italia dal ’76 a oggi ripercorsa anno per anno attraverso le inchieste e le foto di un grande quotidiano. È quello che i lettori della Repubblica potranno trovare nel supplemento preparato per il 25° compleanno del giornale in uscita il 14 gennaio. E dalla storia di ieri a quella di oggi: dal 15 gennaio il quotidiano diretto da Ezio Mauro manderà in edicola Tutto Internet 2001, una guida per navigatori della rete, esperti e non, che uscirà a fascicoli ogni lunedì, martedì e mercoledì.