Le Borse europee cercano il rimbalzo, ma Atene e Pechino fanno paura

I mercati rialzano la testa dopo il crollo della vigilia,  ma preoccupa il rischio di voto anticipato in Grecia, mentre continua il rallentamento dell’economia cinese: l’inlfazione è ai minimi da cinque anni. Prosegue il calo delle quotazioni del petrolio: senza un coordinamento dei paesi produttori il prezzo del greggio potrebbe scendere fino a 40 dollari al barile. In rialzo spread e Btp.

MILANO – Ore 10:15. Le Borse europee cercano il rimbalzo dopo la difficile seduta della vigilia, ma sulle mosse degli investitori continuano a pesare le tensioni internazionali: da un lato il crollo dei prezzi del petrolio che sta costringendo le grandi multinazionali a rivedere i propri piani industriali; dall’altra la Grecia. Ad Atene il primo ministro Antonis Samaras ha anticipato per fine l’elezione per il presidente della repubblica: il candidato del governo è Stavros Dimas. Il quorum è fissato a 180 voti, ma l’esecutivo ne ha 155: in caso di nulla di fatto entro la terza tornata in agenda il 29 dicembre verrà sciolto il parlamento e il Paese tornerà alle urne con la sinistra di Alexis Tsipras in testa a tutti i sondaggi. Una sua vittoria potrebbe rimettere in discussione gli accordi di Atene con l’Ue mettendo a repentaglio la permanenza del Paese nell’euro.

A livello globale i mercati guardano anche alla Cina: Pechino ha adottato misure volte a limitare i crescenti rischi nel sistema finanziario alimentato dal debito. Inoltre il Paese ha registrato una nuova frenata dell’inflazione a novembre, quando si è attestata ai minimi da cinque anni: sale così lo spettro della deflazione anche per la seconda economia mondiale. L’aumento dei prezzi si è attestato all’1,4%, il livello più basso dal novembre del 2009: a settembre e ottobre l’inflazione era scivolata all’1,6%, dal 2% di agosto e per novembre gli analisti prevedevano un dato stabile. Nei primi undici mesi dell’anno il tasso annuo si fissa così al 2% ben al di sotto del 3,5% annuo a cui punta Pechino e al 2,6% registrato nel 2013.

In Europa, intanto, cala dello 0,3% nel terzo trimestre l’occupazione in Francia che registra a ottobre una contrazione dello 0,8% della produzione industriale. In Giappone cala la fiducia dei consumatori per il quarto mese consecutivo. L’euro è in lieve rialzo sul dollaro a 1,239 (+0,1%). In Asia si rafforza lo yen dopo il rallentamento del Pil cinese e il calo dei listini che fa affluire gli investitori su asset considerati più sicuri. La divisa nipponica avanza dello 0,6% a 118,8 rispetto al dollaro con un complessivo +2,1% in tre giorni e dello 0,5% a 147,4 rispetto all’euro.

In questo contesto a Milano Piazza Affari azzera il rialzo dell’apertura ed è invariata, peggio degli altri listini del Vecchio continente: Londra recupera lo 0,3%, Francoforte lo 0,7% e Parigi lo 0,5%. Lo spread, la differenza di rendimento tra Btp e Bund tedeschi sale in area 140 punti base, mentre i titoli italiani a dieci anni rendono il 2,1%.

In mattinata le Borse asiatiche hanno archiviato la seconda seduta consecutiva in rosso in scia al calo del prezzo del petrolio ormai a ridosso dei 62 dollari al barile. Tra le peggiori piazze finanziarie spunta Tokyo che ha perso il 2,25%, preceduta da Taiwan (-1%), e Sidney (-0,45%). A livello continentale l’indice Msci ha perso l’1,1%. Controcorrente soltanto i listini cinesi con Shangai che ha guadagnato il 2,93% nonostante il dato sull’inflazione non sia stato in linea con le attese, frenando sul minimo da 5 anni.

Ieri sera, intanto, Wall Street ha snobbato il sell-off globale chiudendo, seppur in modo contrastato, lontano dai minimi intraday. Gli investitori hanno metabolizzato le notizie arrivate prima dalla Cina e poi dalla Grecia. Secondo i trader, gli operatori di mercato hanno puntato sui titoli energetici (+1,09%), risultati i migliori. Il Dow Jones, arrivato a cedere fino a 222 punti, ha chiuso in calo di 51,28 punti, lo 0,29%, a quota 17.801,20. L’S&P 500 ha perso lo 0,02%, mentre il Nasdaq è salito dello 0,54%.

Sul fronte delle materie prime, come detto, dopo la pausa di ieri torna a scendere il prezzo del petrolio. Il greggio Wti cala a 62,82 dollari al barile sui timori, fra i paesi Opec, di una discesa dei prezzi potenziale fino ai 40 dollari se dovesse mancare il coordinamento dei paesi dell’organizzazione. Arretra anche il Brent di 1,06 dollari a 65,78 dollari. Battuta d’arresto per l’oro: il metallo con consegna immediata viene scambiato in Asia a 1230 dollari l’oncia dopo che ieri era salito a 1238 dollari.

di GIULIANO BALESTRERI, La Repubblica
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