Google & co. mangiadati

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googleA rischio privacy, purchase ma anche i ricavi degli editori

Gli editori tradizionali vengono «sistematicamente defraudati» dei dati dei loro utenti da Google & co. che poi li usa a scopi pubblicitari. E dal momento che in futuro tutta la pubblicità sarà digitale, for sale a Google e agli altri intermediari spetterà la fetta maggiore dei ricavi, mentre agli editori tradizionali non resterà che una piccola quota, pur avendo creato loro il rapporto con gli utenti. Tutto ciò in assenza di un’adeguata tutela dei dati personali in rete grazie alla normativa sulla privacy.
In sintesi è questo l’allarme lanciato ieri dal gruppo Espresso durante l’audizione alla commissione trasporti della camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul sistema dei media. Il consigliere di amministrazione del gruppo, Francesco Dini, ha sottolineato come «l’attuale situazione presente sul mercato italiano non permette di competere ad armi pari con gli over-the-top», ossia le società come Google, Facebook e Amazon che il direttore sviluppo e innovazione, Claudio Giua, ha definito «agguerriti concorrenti degli editori nazionali».
Ma se finora la battaglia degli editori era stata incentrata soprattutto sulla difesa dei propri contenuti, sfruttati a loro dire dai motori di ricerca, ora si va oltre, a cercare di proteggere i dati, il grande patrimonio nel mondo digitale. Nel suo intervento, il direttore generale della divisione digitale del gruppo Espresso, Pierpaolo Cervi, ha spiegato come ciascun utente sia oggi seguito nella navigazione sui siti grazie ai cookie, i piccoli file di testo memorizzati nei dispositivi del navigatore, e che questa raccolta dei dati è sfruttata anche da terzi che nel momento in cui vendono pubblicità digitale.
I cookie sono utili per l’attività online e per l’esperienza di navigazione dell’utente. Il problema è che non sono soltanto i siti visitati dall’utente oppure le campagne pubblicitarie inserite dall’editore a memorizzarli, ma anche soggetti terzi (infatti si parla di cookies di terza parte). Questi «tracciano ogni navigatore (anche nel passaggio da un sito all’altro, ndr), ne registrano e immagazzinano scelte e abitudini e sono il presupposto per la compravendita di dati personali per fini commerciali». Nell’audizione si è sottolineato come l’utente oggi non sia in grado di individuare i soggetti da cui è tracciato, ma soprattutto non sia adeguatamente protetto dal punto di vista normativo. Per altro ormai non ci si ferma al web: le stesse smart tv hanno un occhio sul navigatore.
Ma da cosa deriva il danno per gli editori tradizionali? Oggi si fa sempre più strada la cosiddetta programmatic advertising, ossia una pubblicità online automatizzata, il cui «obiettivo è comprare/vendere spazi pubblicitari a buon prezzo tramite aste online e raggiungere con il messaggio audience molto profilate grazie alla mole di dati personali a disposizione». La programmatic, avverte il gruppo Espresso, è però in mano alle grandi piattaforme «monopolizzate da Google, Facebook, Rubicon ecc.» che si alimentano dei dati dell’utenza «acquisiti in misura massiccia grazie ai cookie di terza parte erogati tramite siti editoriali.
Gli intermediari prenderanno la fetta maggiore dei ricavi. «Ai media e ai venditori di spazi pubblicitari (cumulativamente, gli editori) andava un tempo l’80-85% dell’investimento dell’inserzionista, con il restante 15 che veniva diviso tra centro media e produzione. Nel prossimo futuro, all’editore andrà al massimo il 30% dell’investimento pubblicitario mentre centri media e intermediari incamereranno almeno il 70». La richiesta è che vada ristabilito il principio della «proprietà del cliente». Se la politica non riuscisse a intervenire proteggendo gli utenti da chi traccia la loro navigazione da un sito all’altro, è il richiamo del gruppo Espresso, «si andrebbe incontro a un epocale riduzione della capacità di finanziarsi autonomamente da parte di ogni media europeo (di quelli sia più digitali sia puramente digitali!)».

di Andrea Secchi italia oggi