Premium, non è tempo di low cost

piersilvio berlusconi
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piersilvio berlusconiPrepagate poco profittevoli, remedy si punta solo su abbonamenti

Nel maggio del 2008 il vicepresidente di Mediaset, Piersilvio Berlusconi, annunciava entusiasta che «a tre anni dal lancio abbiamo venduto 6.250.000 tessere prepagate di Premium (l’offerta di pay tv di Mediaset, ndr). E al momento abbiamo 2,6 milioni di clienti attivi». A novembre dello stesso anno le tessere prepagate erano salite a 2,7 milioni.
Poi, già dall’inizio del 2011, era cominciata una svolta nella strategia del Biscione: più spazio agli abbonamenti, che consentono di pianificare meglio il business e danno continuità di ricavi. Ciò nonostante, nel giugno del 2011, c’erano ancora 2,4 milioni di tessere prepagate Premium in circolazione, cui aggiungere 2 milioni di abbonamenti (per un totale di 4,4 milioni di clienti attivi). Comincia il 2013 e siamo a 2 milioni di abbonati e 2 milioni di prepagate. Poi? Stop, Mediaset lascia scadere quasi tutte le tessere prepagate e non si concentra sullo stimolare più di tanto i rinnovi. Tanto che nel settembre 2014 ci sono appena 200 mila tessere prepagate attive, cui sommare circa 1,9 mln di abbonati. Per un totale, quindi, di 2,1 milioni di clienti attivi. Ovvero, meno della metà di quelli del 2011.
L’arpu di Premium, e cioè l’indice dei ricavi medi mensili per abbonato, è invece decollato, e ora viaggia attorno a quota 25 euro. Come è potuto accadere? I ricavi tipici di Premium, ovvero quelli da vendita tessere e abbonamenti, sono certo cresciuti negli anni (ritoccando anche i listini), ma a tassi contenuti. Per esempio, tra il 2012 e il 2013 l’incremento dei ricavi tipici è stato del 7% a 550 milioni. Ma in precedenza quella voce, sommata alla raccolta pubblicitaria, veniva suddivisa su una base di oltre quattro milioni di clienti. Ora la base è molto più contenuta (2,1 mln), i ricavi totali previsti per fine 2014 sono ben oltre i 600 milioni di euro, ed ecco che l’arpu ha raggiunto quota 25 euro, ovvero livelli da pay tv.
E poiché una pay tv viene valorizzata proprio attraverso l’arpu, e non con la base clienti, i vertici di Mediaset Premium, soprattutto in una fase di cessione di quote di Premium ad azionisti terzi, avevano tutto l’interesse a manovrare in questo modo: il mercato borsa-banche, infatti, non riconosce valore alle tessere prepagate, dai ricavi molto instabili, e considera solo gli abbonati.
Va anche sottolineato, come spiegano da Mediaset, «che le carte prepagate attive, nel loro complesso, continuano a essere sempre circa 2 milioni. Ma questa settimana le carte con diritti di visione attivi (ovvero quelle che consentono di vedere i canali pay, ndr) sono 200 mila. Il numero varia di settimana in settimana in base alla stagionalità, perché i clienti possono comprare anche solo un weekend, la settimana, il mese». In sostanza si tratta di un modo con il quale fare provare il servizio a costi bassi. Per esempio, adesso è ottima per i tifosi delle squadre italiane in Europa League (che magari hanno già Sky): con la prepagata vedono i match senza doversi abbonare a Premium. Da fulcro dell’offerta pay di Mediaset, quindi, la prepagata è diventato uno strumento tattico e di promozione del servizio.
Insomma, la storia è interessante perché si è assistito, in poco tempo, alla quasi rottamazione di quello che, fino almeno a quattro anni fa, veniva invece presentato come un modello rivoluzionario (la prepagata) per il mercato della pay tv che, in tutto il mondo, funzionava (e continua a funzionare) con la formula dell’abbonamento. In sostanza la prepagata era un eccesso di low cost (necessario, probabilmente, all’inizio per stoppare l’avanzata di Sky) che neppure un broadcaster solido come Mediaset poteva più permettersi.
Ma il tema torna di estrema attualità con lo scontro Sky-Premium che sembra profilarsi soprattutto dalla prossima stagione 2015-2016, quella in cui Mediaset avrà l’esclusiva assoluta della Champions league. Due dati per capire meglio: martedì scorso la partita Juventus-Malmoe, in esclusiva assoluta su Sky, ha avuto 1.013.000 spettatori. Nel settembre 2013 la prima partita di Champions del martedì era stata Copenaghen-Juventus, trasmessa invece sia da Sky sia da Premium. Sky aveva raccolto 1.062.000 spettatori, in pratica gli stessi del 2014 (ma è abbastanza ovvio, visto che la base abbonati è ferma), mentre Premium aveva fatto 804 mila spettatori che quest’anno sono scomparsi. I numeri, nella loro crudezza, dimostrano alcune cose: che l’esclusiva della Champions, da sola, non è un buon motivo per traslocare quest’anno verso Sky o l’anno prossimo verso Mediaset. Che c’è un pubblico (gli 800 mila) di appassionati di calcio che aveva scelto Premium perché comunque non poteva permettersi Sky. Ci sarebbe, quindi, una fetta di telespettatori da accontentare con una offerta low cost. Ma una pay tv low cost non esiste da nessuna parte al mondo, e per stare in piedi da sola dovrebbe comunque avere una base clienti vastissima, di svariati milioni di persone.
Invece anche nel 2015-2016 lo scontro Sky-Mediaset si giocherà su quella torta cristallizzata di 5 milioni di abbonati al calcio in Italia (3,5 mln di Sky, 1,6 mln di Premium). Ci sarà qualcuno che mollerà Sky per Premium, godendo quindi dei match di Champions ma perdendosi quelli di Europa League, Masterchef o Gomorra? Difficile crederlo. Peraltro l’andamento degli abbonamenti di Premium nell’autunno 2014 è lì a dimostrarlo: si pensava a un netto calo, vista l’assenza della Champions per la stagione 2014-2015, e invece le cose sono andate molto meglio del previsto, anche grazie alla Europa League di cui, invece, avrà l’esclusiva Sky dal 2015-2016. Insomma, dopo essersi divisi costi totali di 60 mln all’anno in diritti tv per la Champions per un triennio, e poi di 120 mln per un altro triennio, ha senso che dal 2015-2016 Mediaset, da sola, si sobbarchi l’onere di 230 mln all’anno per tre anni? Quanti abbonamenti in più dovrà fare Premium per coprire l’investimento, se non vuole aumentare il prezzo in maniera abnorme? Mediaset avrebbe potuto mettere in seria difficoltà Sky solo strappandole anche i diritti del campionato italiano di calcio. Ma non è accaduto.
Probabile, quindi, che, alla fine, si arrivi a un compromesso, un po’ come è successo nell’asta dei diritti Serie A. E che dal 2015-2016 sulle due piattaforme pay, per il bene di entrambe, vadano le partite di Champions e di Europa League, dividendosi i costi.