Il manager del gruppo Fca torna sull’eventualità di un ricorso alle risorse dei soci per rafforzare il gruppo e rimanda alle decisioni del board. Per gli analisti l’opzione resta in agenda insieme al bond convertibile. Per il mercato Ue “decisivo” il rilancio di Alfa
“E’ una cosa su cui deciderà il consiglio ad ottobre, sale lì si saprà che strada prenderemo. Se l’azienda riesce a portare avanti i progetti che ha annunciato, tecnicamente non ha bisogno di un aumento di capitale”. Così l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles (Fca), Sergio Marchionne, ha risposto alle domande dei cronisti su una nuova iniezione di risorse da parte dei soci. Il manager ha anche spiegato che il Suv Levante della Maserati uscirà dallo stabilimento di Mirafiori per la fine del 2015; sul mercato europeo, invece, è indicato come “decisivo” il rilancio di Alfa Romeo.
Già in occasione del Forum di Cernobbio dello scorso fine settimana, l’ad di Fca aveva rimandato alle decisioni del board per eventuali scelte sul rafforzamento patrimoniale, che potrebbe passare anche attraverso l’emissione di un bond convertendo. “I tassi di interesse stanno scendendo, abbiamo riaperto il bond”, ha aggiunto in riferimento alla riapertura della sottoscrizione di un’emissione obbligazionaria. “Le cose stanno andando nella direzione giusta. La capacità di finanziare la nostra attività, con la credibilità di ciò che abbiamo fatto, c’è. Poi è tutto da decidere in sede di consiglio”, ha proseguito Marchionne.
Il manager ha parlato a margine della presentazione della Jeep Renegade. Negli
ultimi tempi gli analisti si sono esercitati parecchio nel valutare la possibilità di un aumento di capitale del gruppo Fca. Ancora oggi, dal Crédit Suisse – in un report che commenta senza troppi entusiasmi la rivoluzione al vertice di Ferrari – si sottolinea come la quotazione negli Usa possa essere il primo passo per un rafforzamento patrimoniale, “il che riduce l’upside potenziale dell’utile per azione”. Ieri, invece, erano gli esperti di Websim a scrivere che per finanziare i piani di investimento del gruppo “riteniamo probabile l’ipotesi di un prestito convertendo o di un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro”.
D’altra parte, già da un anno le voci di un ricorso ai soci e al mercato si sono irrobustite. Era il giugno 2013 quando Exor decise di vendere la sua quota in Sgs, la società svizzera di certificazione che ha consentito alla holding di casa Agnelli di realizzare una plusvalenza da 1,5 miliardi e di portare grande liquidità in cassa: al 30 giugno scorso i contanti ed equivalenti nella cassaforte torinese erano 2,6 miliardi. Ai tempi in molti hanno fatto il collegamento con la necessità di avere cartucce per Fiat-Chrysler, ma gli Agnelli hanno escluso il nesso tra le operazioni.
Al di là dei rumors italiani, anche la stampa anglosassone, che ha apprezzato il lavoro di Marchionne con Chrysler, ha ritenuto a lungo imprescindibile un aumento di capitale. A inizio anno, quando Fiat ha annunciato l’accordo con Veba per salire al 100% di Chrysler (salutato da un +16% in Borsa), il Financial Times accoglieva la notizia come un allontanamento temporaneo dell’esigenza di rifinanziamento. Scriveva allora: “Resta il nodo del debito delle due case automobilistiche messe insieme, in termini netti 14,2 miliardi, quasi quattro volte l’utile operativo atteso per il 2013, cui vanno aggiunti nove miliardi di passività previdenziali di Chrysler”. La conseguenza era “che un aumento di capitale è stato evitato, per adesso. Ma resta una probabilità di medio termine per Fiat-Chrysler”.
In un’intervista a Ezio Mauro, uscita su Repubblica in quei giorni, Marchionne spiegava che “l’aumento di capitale sarebbe una distruzione di valore” e che “il convertendo potrebbe essere una misura adatta”. Ma a quei tempi, stuzzicato sul tema, ribadiva costantemente con toni fermi il “no” alla necessità di una ripatrimonializzazione, che pian piano si è però sfumata. In seguito, dopo la presentazione di un piano industriale maldigerito dal mercato, il manager rivendicava che “se il piano è fattibile nel merito allora un aumento di capitale non è necessario”. A maggio, all’assemblea della holding Exor, Elkann precisava che il piano Fiat non prevede aumenti ma – come detto nella lettera agli azionisti – “c’è la disponibilità di Exor a fornire alle partecipate nuove risorse quando necessarie”.
Nel frattempo, dalla sponda Ovest dell’Atlantico, filtravano indiscrezioni di un bond convertendo da 2 miliardi di dollari allo studio, poi cadute nel vuoto. E col passare dei giorni il fermo “no” si è sfumato: “Sull’aumento deciderà il cda, io non lo farei”, dichiarava Marchionne prima delle ferie estive imboccando quella strada confermata nei toni di oggi. Anche perché, nel frattempo, il trasloco di Fca in Olanda garantiva la possibilità di introdurre un doppio peso per i soci storici, come Exor, che grazie all’assegnazione di un diritto di voto doppio potrà arrivare a controllare il 46% dell’assemblea Fca (nell’ipotesi estrema), pur avendo poco più del 30% del capitale ordinario. Una condizione che apre le porte a una diluizione senza la perdita delle redini.
La Repubblica