CUORI RIBELLI * LE CONFESSIONI DELL’EX “PRIMULA ROSSA”
FRANCO PIPERNO
Ho scoperto mia figlia a sessant’anni
“Conquistatore io? Macchè: sono sempre stato una vittima delle donne…”.
A cominciare dalla mamma, ”una dittatrice del sud”. E proseguendo con i mille amori collezionati dal professore che fu terrorista. Fino a quello che gli ha regalato una paternità a sorpresa. Di cui, per la prima volta, accetta di parlare
di Cesare Lanza “Sette”
Ribelle da sempre, carismatico, affabulatore intelligente, ex terrorista inseguito per alcuni lustri dalle polizie e dai giudici di mezzo mondo, oggi insegnante di fisica a Cosenza. E con un nome che fa notizia: Franco Piperno, 60 anni appena compiuti. E’ bastata una sua intervista, ingiustamente considerata “perdonista”, sull’omicidio della giornalista Maria Rosaria Sessa, a riportarlo alla ribalta, a suscitare polemiche.
All’appuntamento, in una piazza di Roma, mi aspetta con un enorme pezzo di pizza napoletana in mano. Sono le sei del pomeriggio. Mi fa subito simpatia, find per la sua semplicità. Così, quando siamo a tu per tu, gli dico senza giri di parole: Piperno, c’è qualcosa che mi ha sempre colpito, sia nei racconti di comuni amici, sia in ciò che è stato scritto di lei.”
Mi guarda, interrogativo, con uno sguardo penetrante, vivace.
Il successo con le donne, professore. Un successo continuo, leggendario. Invidiabile.”
Non reagisce, né stupito né lusingato.
“Uhm”, risponde. Una materia molto delicata.”
Concordo.
“Non vorrà fare un’intervista su questo argomento?”
Sinceramente, sì.”
“ E’ uno slogan che mi ha dato molti fastidi. Un tormentone, tra tanti altri: come la favola che io potessi decidere gli indirizzi della lotta armata. Deformazioni giornalistiche.”
Dunque, un’occasione per mettere le cose a posto.
“Uhm. Non mi considero un conquistatore. E questa etichetta, se sto al gioco, non solo è ridicola, ma rischia la volgarità. E poi, in realtà, io sono una vittima delle donne.”
Vittima, perché?
“Molte scelte della mia vita sono state punteggiate da figure femminili: ho sempre avvertito il fascino e l’influenza della loro personalità. A cominciare dal primo volto di donna che ricordo: mia madre, Maria Nicola. Una donna molto forte, dominante in casa. Come tante altre donne del sud. E ho avuto guai con le femministe su questo tema: io sostengo che il femminismo non ha mai sfondato al sud perché nel sud, sia pure all’interno delle mura domestiche, c’è sempre stata una dittatura femminile. Il vero potere nelle case del sud è esercitato dalle donne.”
Addirittura.
“C’è una ragione precisa. Come anche nel Quebec, dove ho vissuto per anni, nel nostro sud ci sono state dominazioni straniere, che in sostanza provocavano l’umiliazione degli uomini: la perpetuazione di usanze, lingua e dialetti, riti e costumi, era storicamente celebrata – sacerdotessa la donna – nel rifugio della casa.”
Torniamo alle donne e parliamo del Canada. Lì, lei ha una figlia.
“Svava. Un nome islandese, scelto dal papà, un architetto islandese.”
Mi aiuti a capire. Svava non è sua figlia?
“Certamente sì. La mamma di Svava, Francoise Legris e il suo compagno, questo architetto islandese, erano diventati miei grandi amici, durante il mio soggiorno nel Quebec. Poi è successo che con Francoise abbiamo avuto una relazione di sei mesi, il suo compagno se n’era andata in Islanda. Svava è nata da questa storia con Francoise. Ma io non l’ho vista nascere. Avevo i processi, gli infiniti problemi con la giustizia, la vita mi portava altrove. Mentre Francoise giustamente voleva portare a compimento la gravidanza. E riprese il suo legame con l’architetto. Svava è cresciuta con loro, come figlia di tutti e due.”
Com’era Francoise?
“Bella, affascinante, particolare: figlia di indiani. Tenera: Una studiosa dell’arte moderna, amica di miei amici pittori, come Mario Schifano.”
E lei, Francoise, da cosa fu attratta?
“Presumo che, non solo in questa occasione, verso di me ci fosse, da parte delle donne, una curiosità istintiva verso una persona descritta come un assassino, un delinquente pericoloso, politicamentge e socialmente destabilizzante. Partivo da zero, da una pessima reputazione, e guadagnavo punti quando si capiva che non ero una criminale…”
E quando ha conosciuto Svava?
“Due anni fa, quando lei era adolescente (adesso ha diciassette anni). Lo considero un regalo, una fortuna che mi è capitata. Ne sono innamorato. Per come sono fatto io, avevo sempre pensato che non dovessi avere figli.”
E come è fatto, lei?
“Sia per la mia vita turbinosa, sia per un certo infantilismo, che mi ha tenuto lontano da responsabilità familiari, pensavo di non essere all’altezza. Invece sono felice di avere scoperto Svava e di essere suo padre. Con una tenerezza infinita. Ho necessità di tenerezze: ho sempre avuto molti cani, anche in carcere avevo chiesto di vedere il mio dobermann.”
Quanto tempo è stato in carcere?
“Complessivamente quasi un anno, oltre a tre mesi di arresti domiciliari. Un mese in Canada, due in Francia, quattro a Rebibbia e poi, ancora a Rebibbia, altri quattro mesi, dieci anni dopo. In carcere, a Roma, ecco un’altra figura femminile importante della mia vita: suor Teresilla, straordinaria. Calabrese, piccola, decisa, con occhi come castagne, come dico io, buona e brusca, energica… Mi dava conforto in piccole cose: una penna stilografica, il flauto che suono per hobby… Osservando lei e altri religiosi, ho visto con i miei occhi la forza della Chiesa cattolica: la sua presenza continua, il radicamento non solo ideologico. Parlo con invidia, pensando al mio movimento politico: non c’è paragone con il rapporto che loro hanno con la sofferenza, nel seguire storie anche strazianti.”
Vorrei chiederle ora di sua moglie, Fiora Ardizzone. Che cosa vi ha unito?
“La milizia politica. E la sua grande intelligenza. Quando entrò in carcere nel ’78, si era appena neolaureata in architettura, in prigione ha studiato informatica, ora insegna alla Sapienza. Penso a lei e ricordo le lottedi Potere Operaio, ad esempio davanti alla Fatme, la più grande fabbrica di Roma, con 4mila operai.”
Altro personaggio importante nella sua vita, Marta Petrusewicz.
“Marta, una ragazza ebrea polacca, che insegnava negli Stati Uniti: l’avevo conosciuta in Calabria. Quando lasciai l’Italia, mi fu impedito di passare dal Canada agli Stati Uniti. E così lei veniva da me. Marta era stata in prigione, anche lei, per i fatti polacchi del ’68. E’ una donna di cultura mitteleuropea, parla correntemente cinque lingue, tutti i suoi parenti, salvo i genitori, sono morti nei lager nazisti.”
La storia più lunga. Perché?
“Un rapporto fertile e produttivo, anche se abbiamo idee politiche diverse. Ma lungo forse anche per la distanza, l’intermittenza dei rapporti: a beneficio della forte
esigenza di libertà di tutti e due. E’ ancora un legame amoroso, anche se non coniugale. Mentre con Fiora abbiamo spartito il rischio, comune.”
Lei è geloso?
“Ammetto di sì, anche se la gelosia è un difetto. Non sono geloso se per “lei” è impossibile vedermi: se sono in carcere, in esilio. Ma non sopporto che la donna a cui sono legato preferisca incontrare un altro, se abbia la possibilità di vedere me. Comunque la gelosia è fastidiosa, è il segnale di un rapporto in difficoltà.”
E le donne sono gelose di lei?
“Non so, forse sì.”
Per la sua inafferrabilità?
“Forse.”
Le chiedo un flash sulla sua tumultuosa vita politica. Ha il rimpianto di non essere stato abbastanza ribelle, di non essere arrivato fino in fondo? O pensa di essere stato troppo ribelle?”
“A volte mi rimprovero di non essere riuscito ad andare fino in fondo. Ma fino in fondo non si va mai, da soli.”
E nella vita privata, perché dice di sentirsi un po’ vittima delle donne?
“Difficile da spiegare. Come mettere a disposizione le mie risorse e poi, quando le risorse si consumano, la storia finisce. Non ho mai lasciato nessuna donna, sono sempre stato lasciato. Scelto e lasciato. Con l’impressione finale, un po’ amara, di essere stato saccheggiato.”
Ci sono altri ricordi rilevanti?””
“Prima del matrimonio con Fiora avevo avuto due storie molto belle. Con Rosetta (un bellissimo nome, diffuso soprattutto nel sud), una compagna di liceo, una ragazza cattolica, che ora insegna a Trento. E con Stefania, una delle donne più belle della mia vita, romana, del movimento studentesco.”
E adesso chi c’è, nella sua vita sentimentale?
“C’è Elisabetta, ormai da cinque anni, di origine di Cava dei Tirreni, una sociologa.Con una forte differenza di età, lei ha poco più di trent’anni.”
E quali sono i progetti, professore?
“Elisabetta è un punto di arrivo, fondamentale. Ma non parlo di progetti: per protezione e per scaramanzia.”
cesare@lamescolanza.com
16 gennaio 2003
STORIE DI PADRI, DI FIGLI E DI SEGRETI
Come altri personaggi importanti (tra gli altri, Carlo Caracciolo, Carlo Ripa di Meana, Francois Mitterand e, secondo rivelazioni di stampa degli ultimi giorni, anche Valéry Giscard d’Estaing… ) Franco Piperno ha vissuto una condizione di paternità riservata, poi rivelata e apprezzata solo in età matura. “Verso mia figlia Svava – il nome, islandese, significa “delfina” – provo oggi soprattutto il desiderio di dare spiritualmente. L’ho conosciuta due anni fa, quando lei aveva già quindici anni. Il rapporto è molto dialettico. E’ già stata arrestata dalla polizia: la ribellione è nel nostro dna. Svava è no global, appartiene a questa generazione di ragazzi che dano un giudizio morale, più che politico, della classe loro dirigente. Siamo stati a Cuba un mese e mezzo, abbiamo litigato tante volte… Il confronto con lei, per me, è sempre più bello, coinvolgente.”