COME ERA PERA? IL MIGLIORE.
PERO’ QUELLA SERA A NAPOLI…
Lucio Colletti
INTERVISTA DI CESARE LANZA SU “SETTE”
Com’erano i protagonisti del nuovo potere in Italia, hospital agli inizi della loro carriera?
A Lucio Colletti, 77 anni, filosofo, saggista ed editorialista, propongo un nome per una conversazione tra amarcord e attualità: Marcello Pera. Reduce dalla Bretagna, infastidito dal caldo romano, dopo qualche educato e ironico borbottìo al telefono, Colletti mi riceve nella sua accogliente casa romana, alla Balduina. Le pareti, è normale, sono tappezzate dai libri. Un albero che assomiglia a un pino (“Ma non lo è, è una pianta esotica: per godermela non ho voluto tende alla finestra”) dall’esterno protegge il salotto, come un sipario. Il professore notoriamente è un cervello che si esprime controcorrente, a prescindere, con godimento. Parla senza filtri del suo incontro con il neopresidente del Senato, alla fine degli anni settanta, lasciandosi andare anche a qualche confidenza su di sé.
“La conoscenza con Marcello Pera? Ero professore di filosofia teoretica alla Sapienza. Un giorno ricevetti da lui due saggetti che aveva scritto su Karl Popper, a cui io stavo dedicando studi e attenzione. Mi piacquero molto. Gli scrissi per avere l’autorizzazione a presentare il suo lavoro a Vito Laterza, il mio editore, perché fosse pubblicato.”
– E Laterza fu disponibile?
“ Si conobbero con Laterza, stipularono un contratto: anziché quei due testi Pera pubblicò un libro più importante, “Popper e la scienza su palafitte”. Scoprii che nell’introduzione c’era un riferimento a me, un ringraziamento per averlo “ripreso” agli studi popperiani. Era il 1980. Mi stupì quella parola, “ripresa”, perchè sottintendeva un’interruzione. E’ comunque il miglior libro scritto in Italia sull’argomento.”
– Perché Pera mandò proprio a lei quei due scritti su Popper? Il suo
interessamento era notorio?
“Facevo lezioni a cui assistevano centinaia di studenti…Chiunque poteva conoscere i miei gusti. Sa, ho ritrovato negli anni, anche in Parlamento, tra i funzionari, gli uscieri, alcuni miei ex studenti. Dovunque, ogni tanto, capita che qualcuno mi dica di essere stato un mio ex studente: dovunque, tranne che in Forza Italia. Lì il personale politico è immune dal contagio filosofico.”
– Una delle sue frecciate al curaro, professore?
“Ma no. Semplicemente, è una classe politica di radice culturale diversa.”
– Già che ci siamo, dica se nutre risentimenti. In fondo l’argomento riguarda
anche Pera, ormai autorevolissimo esponente di Forza Italia anche sul piano istituzionale.
“ Io, invece, in Forza Italia ho rotto le scatole per tutta la legislatura: a volte con
ragione, a volte torto. Così, scaduto il mandato, ho scritto a Berlusconi: mi rimetto alla tua decisione, se vuoi sono pronto ad andare in pensione, prendere un volpino e frequentare i giardini pubblici.”
– E lui?
“Una telefonata di Mario Calabresi, giovane giornalista di Repubblica, ha fatto precipitare le cose. Io certo non sono un “dolcione”, cioè un tenero, ma a questo ragazzo, conosciuto in Parlamento, ho espresso un affettuoso e delicato interessamento, parlando spesso della sua tragedia personale, l’assassinio del padre. Così, chiacchierando, mi lasciai andare a un a serie di apprezzamenti poco lusinghieri su Forza Italia. Al contrario dei riconoscimenti per Piero Fassino, di cui ricordavo una memorabile intervista a Giampaolo Pansa, negli anni di piombo. Fassino all’epoca era stato coraggioso: in un’epoca in cui era quasi vietato parlare di certi argomenti, lui fece riferimento alle infiltrazioni dei brigatisti nelle grandi fabbriche, negava che il terrorismo fosse di una sola matrice, non aveva timidezze verso i richiami e le censure di Botteghe Oscure. Così dissi a Calabresi che Fassino era stato un ministro della giustizia equilibrato. privo di asprezze.”
– E allora?
“In quei giorni si stavano chiudendo le liste. Aggiunsi che non avvertivo, invece, il carisma del mio capo. Uscita l’intervista ricevetti una telefonata di Berlusconi, che mi investì: ti ho beneficato, disse, dovresti mandarmi mazzi di rose. Risposi: li sto cercando, ma non si trovano senza spine. Capisce? Il guaio è che io sono imprudente. Mentre, per un vecchio come me, la saggezza dovrebbe essere un dovere.”
– Torniamo a Marcello Pera, un temperamento molto diverso da lei. Si capiva fin dal vostro primo incontro?
“ Era signorile nei modi, sostenuto da una forte, evidente intelligenza. Misurato, equilibrato. Ma sicuro delle sue idee. Non taceva le sue opinioni.”
– Dove vi incontravate?
“Veniva a trovarmi nella mia vecchia casa sull’Appia Antica e poi qui, dove abito ancora adesso, alla Balduina. Poi cominciò a insegnare a Catania e gli incontri divennero più saltuari.”
– Vorrei registrare subito un giudizio, in sintesi.
“ Pera è l’ultimo e miglior filosofo della scienza che abbiamo avuto. Scrivo ultimo perché la filosofia della scienza oggi non esiste più, è diventata un’altra cosa.”
– E lei intuì subito la stoffa grazie solo a quei due saggetti, che le inviò per posta?
“ Senta: non si contano i coglioni, tra i docenti universitari, e in particolare tra i filosofi. E le scemenze che ti arrivano in casa per corrispondenza. Dunque è sempre una bella sorpresa ricevere, raramente, un bel lavoro. Si capiva al volo che Pera era una bella testa, uno che si esprimeva con un chiaro linguaggio, a volte perfino con umorismo. E poi…”
– E poi?
“ C’era sintonia sulle questioni di fondo. Più o meno in quell’epoca era uscito
quel libro di Paul Feyerabend… Lei sa di cosa si tratta?”
– No.
“Si intitolava Against method. In poche parole, l’esposizione della tesi, secondo
cui non esiste un metodo scientifico: tutto va bene, secondo Feyerabend. L’anarchismo metodologico. E un presagio di quanto sarebbe successo si poteva leggere nel capitolo finale delle lezioni di Freud sulla psicanalisi: la caduta del muro che separa la scienza dalla magia e da altre cialtronerie e diavolerie. Peccato per Feyerabend che non abbia potuto conoscere Milingo, o come cavolo si chiama, altrimenti sarebbe stato un bel punto di riferimento per lui!”
– E Pera, in tutto questo?
“Con un altro bel libro, “Analogia del metodo”, metteva in guardia dalla
confusione e rispondeva da par suo all’anarchismo. Feyerabend era un Fregoli del mondo scientifico, in precedenza aveva lavorato con Bertolt Brecht… Un tipo bizzarro. Peraltro la mia idea è che siamo tutti pazzi, ma per fortuna vittime di follie diverse.”
– Pera, incoraggiato da lei, pubblicava questi libri. E intanto Colletti…
“Non sorrida della mia vanità, perchè indubbiamente c’è, ma guardi qui, in
libreria: nel 1980 avevo pubblicato “Il tramonto delle ideologie”, e queste sono le varie edizioni, le traduzioni in francese, tedesco, inglese, spagnolo, serbo croato, greco, svedese… e non so in quante altre lingue.”
– Una svolta politica.
“ Già nel ’74, con un’intervista alla rivista inglese “New left review”, avevo
segnato la mia definitiva rottura col marxismo.”
– E Pera?
“ In politica, nelle sue evoluzioni, è sempre stato più ragionevole, pacato. Io ero stato, sia pure in posizione marginale, un membro del partito comunista. Da rompicoglioni come sempre: anche allora, con i comunisti, come con tutti. E quella intervista, accolta con attenzione e tradotta in varie lingue, era l’harakiri passionale di chi faceva uno strappo. Uno strappo traumatico. Come diceva Lutero e, poi, Goethe: due anime in un corpo. Sei ancora insudiciato e immerso in ciò in cui ti rotolavi, e così ti strappi la pelle, ti allontani con fatica e con dolore da ciò in cui hai creduto… Dal pci ero uscito nel ’64, al momento della caduta di Kruscev. Nel “Tramonto dell’ideologia” spiegavo le mie ragioni, politiche e teoriche. Dopo vent’anni incasso ancora qualche soddisfazione. Ad esempio Orlando Tambosi, un professore universitario brasiliano, pubblica in questi giorni un buon libro, “Perché il marxismo ha fallito”, e mi dedica il sottotitolo: “Lucio Colletti e la storia di una grande illusione.”
-Torniamo a Marcello Pera…
“ Ripeto che, quando ci incontrammo, eravamo in assonanza di idee.”
– Tra voi due, una ventina di anni di differenza. Il rapporto di Pera era da allievo verso il maestro?
“Assolutamente no. Era un rapporto paritario. E poi lui era allievo di Francesco Barone, a Pisa. Io lo introdussi da Laterza e all’Espresso.”
– In poche parole lei determinò il decollo e il primo successo di Pera.
“ Questa è una rudezza. Non mi piace questo modo di sintetizzare le cose. Sostenevo semplicemente una persona di valore. E se sull’Espresso Pera pubblicò ottimi articoli, il merito fu di Livio Zanetti: grazie al suo intuito erano possibili queste operazioni. Dopo Zanetti all’Espresso arrivò Giovanni Valentini e la valorizzazione di personaggi come Pera non sarebbe stata possibile.”
-Altra musica?
“Banda di paese.”
– E come si muoveva, Pera, ai primi successi?
“ Era un bel signore toscano, lucchese: un po’ calvinista. Del resto a Lucca, durante la Controriforma, c’era un piccolo insediamento illuminista.”
– Si capiva, la sua forza di carattere?
“Basta conoscere le origini e la giovinezza di Marcello. Di famiglia povera, aiutò il padre a prendere la licenza elementare perché potesse passare dalla condizione di manovale a quella di operaio. Si era diplomato come ragioniere, poi – lavorando – studiò per prendere la maturità classica: aveva capito che era in un vicolo cieco, all’epoca per accedere all’Università bisognava passare dal liceo classico o scientifico. La sua è una vita segnata anche dallo spirito di sacrificio: uno che ha scalato la montagna sociale partendo dalla base. Un uomo gentile e tenace. Con stupore, all’epoca, constatai che suscitava antipatie, sia da Laterza sia all’Espresso.”
– Perché?
“Non so. Forse per l’approccio umano.”
– Nei vostri incontri romani parlavate solo di politica, cultura e filosofia. O anche di altro? Che so, di musica?
“ La musica per me, come per Caterina di Russia, è un insieme di rumori. Mi manca la chiave, per capire e per sentire. No, i nostri discorsi erano sempre molto circoscritti.”
– Torniamo ai rapporti con la politica. Notoriamente lei è spigoloso… Dopo
la questione marxista-comunista e prima delle incomprensioni con Berlusconi, anche con Craxi ci fu incidente…
“Successe a Milano Marittima, in pieno inizio della bufera di Tangentopoli, nel ‘92. Eravamo nello stesso albergo e, dovendo percorrere un sentiero obbligato, ci trovammo faccia a faccia. Craxi era con la moglie. Sul Corriere della Sera io lo avevo sostenuto, nei miei fondi, pur rifiutandomi di entrare nei circoli soti, fiutandoi senza sforzo il pericolo di diventare uno yes man. E su Mondo Operaio e sull’Espresso non risparmiavo frecciate e punzecchiature. Bene, ci troviamo faccia a faccia e gli dico che ero molto dispiaciuto per quanto stava succedendo. Lui replicò con uno scatto furioso: “Me la pagheranno tutti, pagherà il Corriere e pagherai anche tu…” Anche Anna Craxi mi parve stupefatta.”
– E lei?
“Rimasi turbato, ma non offeso. Capivo lo stato d’animo. Riprendemmo poi
qualche contatto anni dopo, prima della sua morte ad Hammamet. Anzi Craxi mi difese in occasione di una polemica con Berlusconi, con uno dei suoi articoli via fax, e un titolo perentorio: “Colletti ha completamente ragione.” Comunque, a farla breve, sulla politica: i comunisti mi odiavano perché non ero targato pci nel culo, i soti perché non avevo fatto il bacio dell’affiliazione. Il guaio della mia vita è che sono sempre stato un lupo solitario, magari spelacchiato, e oggi vecchio e bavoso, ma senza guinzaglio.”
– E Pera…
“Lui ha avuto maggior fiducia, una fiducia più continua, nella politica. Nel ’93, con Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco, ad esempio, si ricollegava a Massimo Giannini, per il movimento Convenzione per la riforma liberale… Io, invitato, non ci credevo più: mi tenni in disparte. Lui aveva entusiasmo, del movimento divenne presidente. Ad ogni modo sia chiaro che il nostro rapporto è stato sempre distinto, da parte mia e credo anche sua, da un’affettuosità che ancora adesso nutro.”
– Poi arriva la stagione dei professori e Berlusconi offrì la candidatura a tutti e due..
“Già nel ’94 avevo votato Forza Italia. Berlusconi lo conobbi più tardi, nel ’96, una sera a cena a casa di Giuliano Ferrara: vennero lui e Fedele Confalonieri. Il Cavaliere, come si sa, accattivante e coinvolgente, e anche Fedele era molto simpatico.”
– Si può dire che nel suo excursus in politica Marcello Pera è stato più lineare
e avveduto di lei.
“ Questione di carattere. Come fosse Marcello lo avevo capito fin da quando andavamo al ristorante, da Fortunato al Pantheon: io mi gonfiavo di pastasciutta e lui, mio dio, si cibava di antipasti a base di erbe.”
– E all’epoca dei pranzi in trattoria lei aveva capito chi sarebbe diventato, Pera?
Vedeva un politico, leader o consigliere, o un filosofo?
“ Vedevo il filosofo. Dubito che anche adesso Pera sia un politico. E’ uno studioso: ad esempio, per come si è messo a studiare i meccanismi della giustizia,
per capire come riformarla, da ministro. Poi, per una sorpresa tipica della politica, è diventato presidente del Senato.”
– Ancora in sintesi: lei, Colletti, sale e pepe. Lui invece si programmava? Calcolatore?
“ Beh, in un certo senso sì. Quando lui era al Senato e io alla Camera, l’amicizia si era un po’ affievolita: forse pensava che una frequentazione familiare con me, turbolento, potesse danneggiare le sue prospettive. Peraltro, da parte sua, era legittimo evitare il rischio, una volta approdato al Senato, di tornare a insegnare all’Università di Pisa, dove la facoltà di Lettere e Filosofia è notoriamente un nido di vipere. Lì, se non sei comunista o filocomunista, ti trovi in un ambiente non dico pericoloso (perché sono troppo fessi per essere pericolosi), ma certamente ostile.
In conclusione io rivolgevo critiche aperte a Forza Italia, lui non mi seguiva. Posso capirlo: è più giovane di vent’anni. Io non ho niente da chiedere al mio avvenire. E anche per quanto riguarda la filosofia…”
– Dica.
“Pera, ricordiamo, esordisce su Popper con l’apologia del metodo contro l’anarchismo. Alla fine, nel suo ultimo libro “Scienza e retorica”, con argomentazioni sottili – perché indubbiamente ci troviamo di fronte a un grande cervello – fa cadere il muro tra scienza e persuasione retorica… E tuttavia la scienza non è cartomanzia né magia né retorica, sia pure secondo un’accezione alta, ciceroniana.”
– Un tradimento?
“ Non faccia il ragazzaccio, se no le tiro un bel pugno nello stomaco! Tradimento è una parola forte, una provocazione da intervistatore. A questa parola mi ribello. Meglio capire. Il libro esce nel ’91, nel frattempo Pera è stato in America, ha trovato che le posizioni avanzate erano quelle di Feyerabend, proprio quello che tanti anni prima aveva attaccato. Ricordo che alla presentazione del libro, agli Istituti Filosofici di Napoli, davanti a pochissima gente, dieci o dodici uditori, si creò un’atmosfera da salotto, da ristorante, e così prendemmo a parlare liberamente. Io attaccai duramente Pera e altrettanto fece Barone, il suo maestro, sia pure con parole più nobili: insomma, senza la mia rozzezza e trivialità di carattere. Marcello restò turbato. Ricordo anche all’epoca un incidente su La Stampa: saltò fuori la notizia della scoperta di non so quale scienziato francese, secondo cui le molecole dell’acqua conservano la memoria di dove l’acqua è passata. Pera appoggiò la scoperta, Barone intervenne duramente per replicare.”
– E come finì?
“La scoperta ovviamente si rivelò una grande cazzata.”
– Queste debolezze possono indicare che Pera, seguendo un percorso lineare, oggi è riuscito a diventare presidente del Senato e che invece Colletti, come altri professori, è stato penalizzato dalla sua indisciplina?
“ Questa è un’altra domanda maliziosa, da ragazzaccio. Per carità: a Berlusconi
non bastano l’ossequio e l’ubbidienza, sa distinguere benissimo i valletti dai protagonisti. Forse lei non coglie il cuore del problema. Berlusconi ha apprezzato, di Pera, che il consenso gli arrivasse da una persona colta e seria. Marcello non è un cortigiano. E’ andato ad occuparsi di una questione vitale, la giustizia: credo che il vincolo con Berlusconi si sia poi stretto anche sul piano affettivo.”
– Infine,una domanda per chi non ha letto Popper. Perché Popper vi ha legato? Se può spiegarlo brevemente, alla portata di chiunque.
“Popper è quello che ha espresso più compiutamente la necessità di continuare comunque l’indagine e la ricerca, sebbene la ricerca sia senza fine. E Popper sostiene che anche quando la ricerca centrasse il bersaglio, non saremmo in grado di rendercene conto. Noi congetturiamo, facciamo migliaia di ipotesi e troviamo altrettante smentite. Ma continuiamo a cercare. In questo alla fine crediamo, Pera e io: in una filosofia che…”
– Dica.
“Mi ha chiesto brevità. Diciamo così, crediamo nella filosofia di una società
aperta, in cui tutto è messo in discussione, in cui la discussione si risolve provvisoriamente, contando le teste e non tagliandole.”
– Pera si è fatto vivo dopo la sua nomina?
“Erano tre o quattro anni che non ci sentivamo. Mi ha telefonato e ho risentito il
linguaggio, il tono affettuoso di una volta. Mi ha raccontato il suo smarrimento di fronte alla solennità del Palazzo, visto con l’incarico di presidente. Mi sono tornati in mente gli inviti di Spadolini, quando raccoglieva a cena me, De Felice, Romeo, Compagna…”
– Sarà possibile, con Pera, la riproposizione di un cenacolo simile a quello?
“Non so, non credo. Spadolini era vanitoso, come me. Pera no. O meglio,
suppongo che anche lui lo sia, ma sa tenersi a freno.”
– Gli ha dato consigli?
“Nessun consiglio. Perché, senza dubbio, è assai più saggio di me
28-06-01