Questo mese una testimonianza d’eccezione per i nostri lettori. Cesare Lanza, giornalista, buy scrittore, seek autore televisivo e regista ci racconta la sua esperienza.
HO FATTO I CONTI CON UN CUORE MATTO
UN DOLORE IMPROVVISO. IL SENSO D’OPPRESSIONE. LA PAZZA CORSA AL PRONTO SOCCORSO DELL’OSPEDALE. POI LA TERAPIA INTENSIVA E LA DEGENZA. L’INFARTO VA AFFRONTATO CON TEMPESTIVITÀ
Mi sono svegliato alla sei del mattino, mi sono accorto che avevo la fronte piena di sudore… Com’era possibile, con l’aria condizionata che funzionava perfettamente? Mi sentivo intontito. Non respiravo bene. Respiravo a fatica e avvertivo uno strano dolore, che non si poteva neanche definire dolore, una «cosa» diversa: un senso di oppressione, che partiva dalla gola, si estendeva al torace e al braccio sinistro. Il mitico segnale al braccio sinistro!? Non era un dolore acuto, non era violento e, tanto meno, insopportabile. Era un indolenzimento, fastidioso. Un malessere che non avevo mai avvertito prima. Mi sentii di colpo agghiacciato, suggestionato. Mi dissi che ero ipocondriaco, ma respiravo a fatica, il dolore mi sembrava aumentato, il sudore alla fronte sempre più imbarazzante.
Cosa succede?
Mia moglie si svegliò. «Cosa succede?» mi chiese, assonnata. «Chiama un’ambulanza, credo di avere un infarto». Lei reagì sdrammatizzando: «Ma va’! Torna a letto, riposa un po’. Cosa senti?… ». Conati di vomito. Il dolore al braccio, sempre più angosciante quel senso di oppressione, di soffocamento. «No» mi corressi. «Nessunaambulanza… Hanno l’obbligo di portarti al primo ospedale. Non voglio andare dove capita. Chiama un taxi».
C’è un infarto in corso.
Arrivammo al pronto soccorso alle sette e mezza, trovai all’opera due medici, uno giovane ed estroverso, l’altro serioso e compito, che studiava i primi rilevamenti. «Com’è la situazione?» chiesi. Si voltò e mi guardò negli occhi. «Eh, com’è la situazione!…». Non dimenticherò mai le sue parole: «C’è un infarto acuto in corso. Se…» sottolineò, «ma se riusciamo a superare la prima ora, forse ce la facciamo». Accidenti, pensai. Così ha detto: «se e forse»! «Faccia entrare mia moglie, per favore» dissi. Il medico replicò stizzito: «lo ho doveri precisi. Anche per ragioni di legge. Devo parlare con chiarezza al diretto interessato, stop. Agli altri penseremo quando ci sarà tempo…». Reagii con energia anch’io: «Senta: lei mi ha detto che tra mezz’ora potrei non esserci più (lui aveva parlato di un’ora, ma io sono un ottimizzatore”). Dunque…». Un po’ di storto, acconsentì. Mia moglie era stravolta, le raccomandai cose pratiche, nel caso me ne fossi andato. Infine, restai solo con i medici e le infermiere. «Tranquillo» mi dicevano. «Lei si trova al posto giusto, al momento giusto. Ha fatto benissimo, a correre subito in ospedale». Mi misero il boccaglio per l’ossigeno, mi imbottirono di farmaci, mi rasarono i peli del pube e del petto. Poi mi portarono nella sala attrezzata per la coronografia. Mi spiegarono l’intervento. Anestesia locale. Mi chiesero se preferissi essere bucato all’inguine destro o sinistro, per trovare la vena safena. Durante l’intervento c’era un medico che mi parlava con dolcezza: «Tranquillo… bene, bene! Stiamo andando bene, non è una situazione allarmante, siamo proprio arrivati in tempo». Lo ascoltavo, rincuorato. Però pensavo: il medico di prima ha detto brutalmente la verità, questo qui forse è uno di quelli che vogliono tenerti comunque sereno… forse esagera nel tranquillizzarmi». Un altro medico, alle mie spalle, disse: «Ehi, su di morale». Qui fuori c’e perfino la conduttrice di “Buona domenica”, è venuta a chiedere notizie… ». Finalmente, in barella, mi portarono fuori.
Come in un film, da sotto in su, vidi facce ansiose, persone a cui sono legato da affetto profondo. Mia moglie mi prese la mano. Tony, corrucciato, riusciva appena a sorridere. Paola, quieta e serena, la più pacata. «Mi stanno dicendo addio» pensai. Ebbi uno sbotto di pianto. Mi vergogno, al ricordo di quel pianto improvviso.
Come si fa a cedere alla paura, con il mio pessimismo globale, ad aver paura della morte? Eppure, mi è successo. Poi, tre giorni di terapia intensiva, una esperienza molto dura. Ero legato con le due braccia alle macchine, guai poi a muovere la gamba destra (alla coscia, un ematoma spaventoso a vedersi!), per il rischio di emorragia. Immobile nel letto. Niente bagno né vere pulizie. Il pappagallo per la pipì. I gemiti, la sofferenza, l’esasperazione degli altri malati. La seconda notte, alle quattro, medici e infermieri si materializzarono all’improvviso, intorno al letto di un vecchio novantenne, ricoverato al mio fianco. Un abbassamento di pressione, precipitata di colpo a livello 30. Ho assistito a una lezione esemplare di efficienza professionale e di umanità. Il vecchio mormorò con dignità: «Sto morendo?». Una dottoressa gentile lo rincuorava, in mezz’ora l’emergenza fu superata. Se toccasse a me? Inevitabilmente pensai. Ora, ne sorrido. E una cosa voglio dirvela, con affetto: se avvertite un problema, correte subito al pronto soccorso.
Solo la tempestività mi ha salvato la vita. Certo, ho vinto solo un round di una partita dall’esito scontato. Ho visto in faccia la «Sparviera». «E si è spaventata lei» mi ha detto ridendo mia moglie. Ma, prima o poi, perderò io. Questo è certo: la fine è nota.
TV SORRISI & CANZONI, 14-06-10