Polemica in Francia per la legge contro le fake news. E quel conto corrente del presidente alle Bahamas…
In Italia ce la siamo cavata con un pulsante rosso virtuale, piazzato prima delle elezioni del 4 marzo sul sito della Polizia di Stato, che avrebbe dovuto servire per segnalare le “fake news” pubblicate su internet. Effetti? Risultati? Mistero. Chissà. Probabilmente nessuno. E Matteo Renzi, prima di partire per il suo giro internazionale di conferenze, aveva preannunciato la richiesta formale di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle “notizie false” che a suo dire avrebbero avvelenato gli anni del suo governo: agli atti del Senato, però, almeno finora non risulta alcuna proposta.
In Francia, invece, stanno diventando anche troppo severi. Contro le “fausses nouvelles”, il 6 giugno il Parlamento di Parigi ha iniziato a discutere un progetto di legge che il presidente Emmanuel Macron aveva enfaticamente annunciato mesi fa. La proposta è stata depositata il 21 marzo all’Assemblée nationale da Richard Ferrand, segretario di La Republique En Marche, e sottoscritto da oltre cento deputati del movimento fondato due anni fa proprio da Macron. La proposta stabilisce che, nei tre mesi precedenti a ogni tipo di elezione, il candidato o il partito che si ritenga danneggiato da una falsa notizia online possa chiedere l‘intervento di un giudice: questi avrà 48 ore di tempo per valutare il caso e se riscontrerà l’infondatezza della notizia, soprattutto “se pubblicata in malafede”, potrà cancellarla da Internet. L’autore del falso rischia fino a un anno di carcere e 75.000 euro di multa.
Tutti i dubbi sulla proposta
Malgrado le opposizioni si siano schierate compatte contro la proposta, all’Assemblée nationale il gruppo di En Marche e alleati dispone di una schiacciante maggioranza (351 eletti su 577) ed è quindi molto probabile che in questo ramo del Parlamento la norma venga approvata già alla fine di giugno, o al più tardi in luglio. Allo stesso tempo, però, è evidente che la legge ha ambizioni velleitarie: anche se il giudice indicato dalla proposta è quello che in Francia si chiama “juge des référés”, cioè il presidente di ogni tribunale cui il Codice attribuisce la soluzione dei casi urgenti, sarà comunque difficile trovare dalla Bretagna alla Provenza un solo magistrato in grado di risolvere in appena due giorni il complesso affaire di una presunta falsa notizia.
La legge suscita altri dubbi: perché limitarsi ai tre mesi prima delle elezioni, e non contrastare sempre le “fausses nouvelles”, indipendentemente da un appuntamento con le urne? Inoltre, che cosa deve intendersi per “notizia falsa”? La legge ne dà una definizione molto vaga: “Qualsiasi contestazione o imputazione di un fatto, privo di elementi verificabili tali da renderlo plausibile”. Il progetto non specifica nemmeno quali siano i poteri del giudice: potrà ordinare all’autore della notizia di rendere pubbliche le sue fonti? E ancora, visto che la norma prevede il carcere per chi diffonde notizie false (e in Francia è la prima volta da oltre un secolo), con quali mezzi coercitivi potrà agire il magistrato? Potrà ordinare l’arresto del giornalista reticente?
Le critiche delle opposizioni e dei giornalisti
Non sono questioni da poco. E così il governo sta incassando dure critiche, dall’estrema sinistra fino alla destra più oltranzista: Jean-Luc Mélenchon, leader gauchista di La France insoumise, contesta “lo sporco tentativo di controllare l’informazione”; Christian Jacob, segretario di Les Republicains, teme la formazione di una “polizia del pensiero”; e Marine Le Pen del Rassemblement national (già Front national) parla di “un testo liberticida”.
Anche i giornalisti sono preoccupati. Dominique Pradalié, segretario del loro sindacato, stronca la legge perché “pone un problema reale, ma dà una risposta totalmente sbagliata”. Christophe Deloire, capo dell’organizzazione per la difesa della libertà di stampa Reporters sans frontières, si dice “molto perplesso da un progetto più che inquietante”.
Insensibile alle critiche, così come alle richieste di modifica contenute in oltre 200 emendamenti proposti in commissione e perfino dal Consiglio di Stato, il 6 giugno governo di Philippe Édouard ha diramato una nota per confermare la volontà di andare avanti con l’esame parlamentare e di chiuderlo al più presto: “La nostra sfida” ha annunciato Hôtel Matignon “consiste nell’adattare gli strumenti giuridici contro le false notizie ai nuovi strumenti e alle nuove modalità di diffusione”.
I motivi (personali) di Macron
Ma perché Macron si è così intestardito sulle fake news, tanto da ingaggiare un braccio di ferro con le opposizioni e con i giornalisti, per di più proprio mentre la sua popolarità è in netto calo? Tutto nasce lo scorso dicembre, nel pieno dell’ultima campagna per le presidenziali, quando su un sito francese esce la notizia di un ricco conto corrente che il candidato di En Marche nasconderebbe alle Bahamas. È una balla che gira e cresce, fino a quando, in un confronto televisivo andato in onda nell’immediatezza del primo turno, Macron se la sente rinfacciare da Marine Le Pen, la sua diretta concorrente per l’Eliseo, poi sconfitta nel secondo turno del maggio 2017.
Le altre leggi esistenti
È vero che le fake news sono un problema sempre più diffuso online. Questo non toglie che la legge proposta da En Marche sia il mal concepito, inutile doppione di alcune norme, già da tempo in vigore in Francia. La legge sulla libertà di stampa del 1881, riformata nel 2002, punisce infatti non soltanto la diffamazione, ma anche (e proprio) le fausses nouvelles, tanto che all’articolo 27 stabilisce: “La pubblicazione, diffusione o riproduzione con qualsiasi mezzo di notizie false, contraffatte, alterate o attribuite a terzi, qualora siano avvenute in mala fede e abbiano turbato o possano turbare la quiete pubblica, è punita con la multa di 45.000 euro”.
Allo stesso modo, l’articolo 97 del Codice elettorale prevede una multa fino a 15.000 euro “per chi, usando false notizie, voci diffamatorie o manovre fraudolente, abbia dirottato i voti”.
Dal 2004, inoltre, esiste una legge sulla “Confiance dans l’économie numérique” (cioè “Fiducia nell’economia digitale”), che consente al giudice
– attraverso procedimenti sommari – di ordinare ai siti web di “porre fine ai danni causati dal contenuto di un servizio di comunicazione online al pubblico” se questo contiene informazioni false. Per tutto questo, gli stessi giudici francesi sembrano perplessi di fronte alla proposta macroniana: “Contro le fausses nouvelles disponiamo già di strumenti giuridici più che adeguati” sostiene Vincent Charmoillaux, segretario nazionale del Sindacato della magistratura.
Le altre parti della legge
Almeno per ora, suscita meno critiche la seconda parte della nuova legge, che vuole imporre piena trasparenza ai siti online e alle principali piattaforme digitali (da Facebook a YouTube): siti e piattaforme dovranno indicare l’identità dei clienti che hanno ordinato pubblicità nei tre mesi precedenti ogni elezione, nonché l’importo che i clienti hanno pagato per “promuovere contenuti informativi relativi a ogni dibattito che rivesta un interesse generale”. È evidente che questa norma, alla luce dei sospetti sulle intromissioni russe sul voto inglese per la Brexit e sulle elezioni presidenziali statunitensi, intende contrastare soprattutto le ingerenze straniere.
Contro questo stesso tipo di ingerenze rischierà di trasformarsi in una vera bomba atomica diplomatica un altro articolo: quello che vorrebbe attribuire al Conseil supérieur de l’audiovisuel (un’agenzia pubblica “indipendente”, che in realtà ha sei membri nominati dai presidenti dei due rami del Parlamento e il cui capo viene scelto direttamente dall’Eliseo) addirittura la facoltà di bloccare un’emittente televisiva o un sito online se il Csa dovesse constatare che per suo tramite “uno Stato estero diffonde deliberatamente informazioni false che possono alterare l’equità del voto”. Nel mirino dell’esecutivo, è evidente, ci sono tv e piattaforme web legate a interessi stranieri, come il canale russo Russia Today o il sito Sputnik. Non per nulla, sui giornali francesi, questo capitolo della legge è stato interpretato quasi come una pre-dichiarazione di guerra a Vladimir Putin.
di Maurizio Tortorella, Affari italiani