Il blocco cinese all’importazione della maggior parte della “spazzatura straniera” ha reso evidente che gli Stati Uniti, con 66 milioni di tonnellate ogni anno, producono troppa raccolta differenziata che non può essere tutta riciclata
Bisogna fare attenzione per non far inceppare il (ri)ciclo dei rifiuti negli Stati Uniti: da quando la Cina, il primo gennaio scorso, ha smesso di riciclare la maggior parte della “spazzatura straniera” aumentando gli standard dei materiali di scarto accettati, tonnellate di materie plastiche e carta finiscono direttamente nelle discariche americane. Il problema è la loro quantità: involucri e imballaggi sono diligentemente separati dai consumatori a stelle e strisce, ma sono troppi per essere riciclati. Tanto che, negli ultimi mesi, migliaia di tonnellate di carta e plastica, già separate e pronte per essere riciclate, sono finite in discarica.
“Il materiale raccolto per strada, tutto a un tratto, non ha più un posto dove andare”, ha dichiarato Pete Keller, vicepresidente del riciclo e della sostenibilità presso la Republic Services, una delle principali aziende che gestiscono rifiuti negli Stati Uniti. Il problema è che non si può riciclare “a qualsiasi prezzo o costo” e, senza la valvola di sfogo cinese, materiali potenzialmente riciclabili diventano troppo onerosi da gestire.
Il problema ha colpito soprattutto alcuni Stati della West Coast , che avevano basato il loro ciclo dei rifiuti sugli impianti cinesi – come Oregon, Washington, Alaska e Hawaii – e che in seguito al blocco hanno ridimensionato la platea dei materiali riciclabili, non accettando più determinati articoli come le confezioni di plastica di latte e uova. In gran parte degli Stati Uniti, per far fronte all’emergenza rifiuti, le alternative individuate sono state India, Vietnam e Indonesia, che infatti stanno importando un maggior numero di materiali di scarto americani che non riescono a essere gestiti internamente.
Come certifica l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, i cittadini americani riciclano 66 milioni di tonnellate di materiale ogni anno e, di queste, circa un terzo viene trasferito in altri paesi. Nei primi due mesi del 2018 le esportazioni di rifiuti verso la Cina, in seguito al divieto, sono diminuite del 35%: se nel 2015 lasciavano gli Usa materie plastiche per 300 milioni di dollari, nel primo trimestre del 2018 la cifra è stata di 7,6 milioni di dollari, in diminuzione del 90% rispetto all’anno precedente. E l’export totale di plastica di scarto statunitense è in calo del 40%.
Questa situazione, che sta creando numerosi problemi soprattutto nelle aree rurali degli States, invita a riflettere sulla produzione smodata di rifiuti che, seppur correttamente separati, non riescono ad essere gestiti in modo efficace ed efficiente, e finiscono, malgrado tutto, in discarica: il riciclo deve rappresentare la “terza r” del processo, prima vengono la riduzione e il riuso.
Manuel Massimo, La Stampa