Negli ultimi giorni la quota della principale criptomoneta è scesa al 36% del mercato, ai minimi storici, mentre i suoi concorrenti hanno guadagnato valore e visibilità e nel corso del 2018 proverranno a intaccarne il primato. L’esperto: “Ma la tecnologia alla base del bitcoin resta la più solida”
Nel 2017 tutti i riflettori sono stati per lui. Con la sua spettacolare ascesa, da mille a quasi 20 mila dollari, il Bitcoin ha monopolizzato le attenzioni di finanza e investitori. Ma il mondo delle criptomonete va ben oltre quella inventata dal misterioso Satoshi Nakamoto. E tra gli ultimi giorni dello scorso anno e le prime ore del 2018, mentre il prezzo del Bitcoin subiva una importante correzione al ribasso, i suoi agguerriti concorrenti hanno continuato a rosicchiargli terreno. Ethereum è ai massimi storici per valore, così come Ripple, balzato al secondo posto tra le critpovalute per capitalizzazione. Tra le più piccole, Cardano e Stellar hanno compiuto balzi in doppia cifra. Tanto che martedì 2 la fetta del Bitcoin nella capitalizzazione complessiva delle criptomonete, 236 miliardi di dollari su 654, è scesa secondo i calcoli di Coinmarketcap al 36%, il minimo storico. Che sia la fine del dominio solitario della criptomoneta più antica, celebrata e discussa? Troppo presto per dirlo. Anche perché la perdita relativa di valore del Bitcoin rispetto a figli, fratellastri o cloni è un trend che prosegue da inizio 2017, lo stesso periodo che ha visto il suo valore assoluto schizzare alle stelle tra mille fanfare. Il Bitcoin ha infatti chiuso l’anno con un impressionante guadagno del 1.300%, ma altre meno sponsorizzate monete virtuali hanno fatto ancora meglio: +36.000% Ripple, +14.000% Stellar, +9.000% Ethereum, +5.000% Litecoin. La caduta di fine anno del Bitcoin, tornato a quota 13 mila dollari dai massimi di 20 mila, ha solo reso più evidente questa tendenza, visto che molti dei concorrenti hanno continuato imperterriti a crescere. E se alcuni, come per esempio lo Stellar, restano dei nei per capitalizzazione rispetto al padre, altri hanno raggiunto dei valori comparabili: ripple sfiora i 100 miliardi di dollari, Ethereum i 90, Bitcoin Cash i 50. Dopo tante celebrazioni, insomma, il Bitcoin sembra entrato in un periodo di reflusso che potrebbe spingere gli investitori verso le altre criptomonete. Da una parte i continui allarmi delle autorità sul rischio bolla, dall’altra la stretta regolatoria annunciata da Paesi come la Corea del Sud. Infine il fatto che le altre valute, nel momento in cui sempre più “wallet“, i portafogli virtuali dove si acquistano, cominciano a renderle accessibili al grande pubblico, partono da un livello assai più basso: “Psicologicamente chi si affaccia su questo mercato tende ad acquistare le monete che hanno il prezzo unitario più basso, anziché valutarne i fondamentali”, spiega Marco Coda, responsabile del laboratorio su Blockchain e Criptomonete del Gruppo Banca Sella. Al di là delle vertiginose oscillazioni delle quotazioni infatti, è soprattutto lo sviluppo della tecnologia che deciderà quale o quali critpovalute sopravvivranno nel lungo periodo. Da questo punto di vista gli sfidanti del Bitcoin si dividono in due grandi categorie. Da una parte le monete che cercano di superarne i problemi di scalabilità, il fatto che l’infrastruttura alla base del Bitcoin (la blockchain) sta diventando sempre più intasata e costosa, proponendone una versione evoluta. E’ il caso del Litecoin, che rende più “leggere” e quindi più veloci le transazioni, oggi la sesta criptomoneta per capitalizzazione. O del Bitcoin Cash, la quarta, recente scisma dal bitcoin originario, che nelle ultime settimane ha mostrato un andamento inverso rispetto a quello del padre. Secondo i loro sponsor queste tecnologie aiuteranno le criptomonete a imporsi come effettivo strumento di scambio, utilizzo rimasto finora marginale. Secondo i critici invece mettono a rischio trasparenza e sicurezza del sistema originario, che si fondano proprio sulla “difficoltà” di validare gli scambi all’interno della rete: “Sulle altre blockchain gli scambi costano meno solo perché non hanno lo stesso livello di adozione – dice Coda – se un giorno lo dovessero raggiungere avrebbero problemi di concentrazione del calcolo ancora maggiori, tradendo il senso profondo di una infrastruttura decentrata”. Accanto a questi “altcoin”, come vengono definite le criptomonete alternative, ce ne sono altri che nascono con una blockchain autonoma rispetto al bitcoin e vocazioni differenti, tanto che si possono definire valute solo per semplificazione. Ethereum per esempio è una piattaforma per la creazione di contratti intelligenti, gli smart contract, che pagano l’utilizzo della sua potenza di calcolo attraverso una unità di conto chiamata ether, oggi la terza criptovaluta per capitalizzazione. La quinta, Cardano, è una versione simile nata in Giappone. Mentre ancora diversa è Ripple, di recente balzata al secondo posto in classifica. Questa startup offre alle banche un servizio di scambio di informazioni, una alternativa evoluta allo Swift, a cui aggancia una valuta virtuale che in prospettiva potrebbe essere usata per facilitare gli scambi internazionali. Non proprio un seguace del Bitcoin, che nasce come alternativa al sistema bancario tradizionale. E secondo molti proprio questa rimane, nel bene e nel male, la differenza radicale del bitcoin, la criptovaluta senza fondatore, senza autorità e open source. “Nessuna delle altre può contare su una comunità di sviluppatori così vasta e competente”, spiega Coda. All’interno della quale però creare un consenso su come risolvere i problemi tecnici e far evolvere il progetto è molto difficile, “proprio come nei primi anni di Internet”. Per difendere il suo primato dai concorrenti, il Bitcoin dovrà sciogliere questo enigma.
La Repubblica