Come l’usura
L’autorità religiosa, citato dal giornale Egypt Today, ha sottolineato che non esiste nessuna garanzia sulla tracciabilità dei bitcoin, che non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo da parte della Banca Centrale del Cairo.
Il muftì sottolinea poi che la stessa concezione della criptomoneta contraddice i precetti dell’Islam, perché transazioni che coinvolgono i bitcoin non hanno regole prestabilite da un contratto e possono venire assimilati ai “profitti eccessivi” tipici dell’usura, proibita dal diritto civile islamico: «Ecco perché tutto questo è proibito», conclude la fatwa.
Il no dei sauditi
Prima della fatwa di Ashour era arrivata la presa di posizione dell’imam saudita Assim al-Hakim, che ha accusato il Bitcoin di garantire «anonimato ai truffatori». «I musulmani non dovrebbero lasciarsi coinvolgere in transazioni così discutibili solo per realizzare un rapido profitto. Questo non è un concetto tipico dell’Islam». Ma criptomoneta è invisa anche a Paesi dalla cultura completamente diversa rispetto a quella delle monarchia islamica. La Cina ha messo limiti precisi perché teme che il Bitcoin possa scardinare il controllo statale sull’economia.
Giordano Stabile, La Stampa