Pensioni: nel 2019 assegno più lontano di 5 mesi e più leggero del 5% (50 euro al mese su uno di 1000 euro). Nel 2019, a meno di ripensamenti dell’ultima ora da parte del Governo alle prese con un difficile confronto con i sindacati, per andare in pensione serviranno 5 mesi in più. Non solo: rispetto ad oggi, l’assegno mensile sarà più leggero del 4/5%, in pratica 50 euro al mese in meno su una pensione di 1000 euro, 75 euro in meno su un assegno di 1500 euro.
Stiamo parlando dell’aumento programmato e automatico dell’età pensionistica legato all’aspettativa di vita (dagli attuali 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne a 43 anni e tre mesi e a 42 anni e tre mesi). Sulla base delle prime stime dell’Istat l’età minima per la pensione di vecchiaia dovrebbe aumentare dai 66 anni e 7 mesi, in vigore per tutte le categorie di lavoratori dal 2018, a 67 anni a partire dal 2019. Poi, ricordano i sindacati, la legge Fornero prevede che il requisito venga adeguato alla speranza di vita ogni due anni, e quindi si passerebbe a 67 anni e 3 mesi dal 2021. Per i successivi aggiornamenti, a partire dal 2023, si prevede un incremento di due mesi ogni volta.
Claudia Marin su Quotidiano.net, mentre dà conto della sforbiciata all’assegno, ricorda come i dati statistici (Istat) sull’aumento della speranza di vita tra il 2015 e il 2016 indichino appunto in 5 mesi l’incremento dell’aspettativa di vita. Incremento che impatta direttamente non solo sull’età pensionabile ma anche sui requisiti contributivi e quindi sul complicato meccanismo di calcolo del trattamento pensionistico. Parliamo stavolta dei coefficienti di trasformazione di quello che chiamiamo montante contributivo (la somma dei contributi versati) nell’assegno finale.
I parametri di cui parliamo sono costruiti e modificati periodicamente, dal 2012 ogni tre anni e dal 2019 ogni due anni, tenendo conto di una serie di variabili demografiche (incrementi dell’età media e della speranza di vita, indici di mortalità) ed economiche (in particolare l’andamento del Pil di lungo periodo). Il che conferma che esiste un nesso tra l’andamento generale dell’economia, i fattori demografici e le modalità di trasformazione dei contributi in rendita. Se l’economia tira e tira a lungo, i numeretti saranno più favorevoli. In caso contrario, la loro modifica periodica inciderà nel ridurre i futuri assegni previdenziali. Ora, se consideriamo il trend del Pil degli ultimi anni e insieme l’incremento dell’aspettativa di vita, tutti gli addetti ai lavori stimano che i nuovi coefficienti avranno l’effetto di ridurre gli assegni in liquidazione dal 2019. (Claudia Marin, Quotidiano.net)
Blitzquotidiano.it