Malato di tumore, è spirato nel pomeriggio l’uomo condannato in via definitiva per l’omicidio dello scrittore, poeta e regista, a Ostia nella notte tra il primo e il 2 novembre del 1975. All’epoca Pelosi aveva 17 anni. Il legale: “Convinto della sua innocenza. Esistono informazioni custodite in una cassetta di sicurezza. Lui non se l’è mai sentita di diffonderle per la paura che qualcuno potesse toccare lui o i suoi familiari”
E’ morto a Roma Pino Pelosi, l’uomo condannato in via definitiva per l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, ucciso nella notte tra il primo e 2 novembre del 1975 a Ostia. Pelosi, che aveva da poco compiuto 59 anni, era malato di tumore. Da giorni ricoverato al Policlinico Gemelli, ieri era stato trasferito presso l’Hospice Oncologico dell’ospedale, “Villa Speranza”, dove è deceduto nel pomeriggio. L’agenzia Dire apprende che Pelosi, che viveva nel quartiere di Bastogi, si era sposato 20 giorni fa. “Era consapevole di quello che stava succedendo – racconta una fonte che preferisce rimanere anonima – ma aveva trovato una persona che gli dava serenità e che gli ha voluto davvero tanto bene. Stavano insieme da almeno quattro anni”.
Nato a Roma il 22 giugno 1958, cresciuto nel quartiere Setteville di Guidonia, Giuseppe Pelosi aveva frequentato la scuola fino alla seconda media. Poi era diventato Pino, l’adolescente dai connotati esistenziali tipici dei “ragazzi di vita” ritratti da Pasolini: consumati dalla strada, divisi tra microcriminalità e prostituzione maschile. Finché quel 2 novembre del 1975 il telegiornale non rovesciò sulla tavola degli italiani davanti alla tv all’ora di pranzo la sconvolgente notizia: il ritrovamento del cadavere di Pier Paolo Pasolini, brutalizzato a morte in un campetto sterrato di Ostia Scalo.
Quella stessa notte del 2 novembre, il 17enne Pino Pelosi era stato fermato dai carabinieri intorno all’una e trenta sul lungomare Duilio di Ostia alla guida dell’Alfa del regista, scrittore, poeta e intellettuale. Guidava contromano a forte velocità. I carabinieri non sapevano ancora della morte di Pasolini e Pelosi fu inizialmente accusato solo di furto di un’auto che i documenti a bordo riconducevano a Pier Paolo. Pino aveva ammesso il furto, disse di aver rubato l’auto nei dintorni del cinema Argo, quartiere Tiburtino. Ma quando accanto al corpo della vittima fu ritrovato un grosso anello di Pelosi, dono di Johnny lo Zingaro, al secolo Giuseppe Mastini, il quadro evidentemente cambiò.
Trasferito al carcere minorile di Casal del Marmo e interrogato il 5 novembre, Pelosi cambiò la sua versione: disse di essere stato caricato da Paolini nei pressi della Stazione Termini e di essersi recato con lui allo Scalo di Ostia. L’incontro, a sfondo sessuale, sarebbe degenerato in alterco, quindi in colluttazione. Pelosi affermò di essere stato colpito con un bastone e di essersi quindi difeso con una tavola di legno, l’insegna scritta a mano di via dell’Idroscalo. E di aver lasciato Pasolini a terra, fuggendo a bordo della sua auto, nella notte. Pasolini dunque morto per un incidente, schiacciato dalla sua stessa vettura guidata dal fuggiasco Pelosi, come per un “effetto collaterale” di una serata finita male. Sul luogo del delitto, secondo quanto dichiarò il ragazzo, non c’era nessun altro.
Rinviato a giudizio il 10 dicembre del 1975 per omicidio volontario, furto d’auto e atti osceni in luogo pubblico, Pelosi fu condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione e 30.000 lire di multa. Soprattutto, la Corte lo ritenne colpevole di “omicidio volontario in concorso con ignoti”, perché durante il procedimento era emersa la convinzione che Pino, reo confesso di omicidio colposo, quella notte all’Idroscalo non era solo con Pasolini. Aprendo quindi a ipotesi sulle motivazioni del delitto ben più complesse della lite tra omosessuali finita male. Anni Settanta, Pasolini intellettuale scomodo.
Un anno dopo tutto cambiò, ancora una volta, in appello. Pelosi fu prosciolto per atti osceni e furto, ma si vide confermare la patente di omicida. Mentre la Corte d’appello, ribaltando la prima lettura degli atti, ritenne estremamente improbabile che il ragazzo avesse avuto dei complici. Sentenza confermata in Cassazione e definitiva il 26 aprile del 1979. Il delitto Pasolini tornava tragico epilogo di una questione tra omosessuali.
Detenuto nel carcere di Civitavecchia, Pelosi ottenne la semilibertà il 26 novembre 1982, quindi in libertà condizionata dal 18 luglio 1983. L’11 gennaio 1984 fu arrestato e in seguito prosciolto per insufficienza di prove in relazione a una rapina a un furgone postale. Nell’agosto dello stesso anno fu colto in flagranza mentre ruba in un appartamento. Nuovo arresto il 7 dicembre 1985, per tentata rapina. Pelosi ancora rapinatore il primo settembre del 2000, poi, dopo un ulteriore arresto per spaccio nel 2005, l’affidamento ai servizi sociali con mansioni da netturbino. Espiato il periodo di pena, Pino Pelosi tornò in libertà il 23 settembre del 2009.