Un emendamento approvato alla commissione attività produttive della Camera
ne abolisce il divieto
Spiega linkiesta: «Fino al 31 dicembre 2012 se volevate cambiare assicurazione dovevate mandare una raccomandata di disdetta entro 15 giorni dalla scadenza della polizza. Vien da sé che solo una piccola percentuale di persone particolarmente avvedute si segnava sul calendario la data entro cui poter esercitare il recesso. Risultato? Anche se i premi erano particolarmente alti, ce ne si accorgeva quando era troppo tardi». L’effetto della cancellazione del tacito rinnovo è stato fantastico per i consumatori: «Nel giro di quattro anni, da giugno 2012 a giugno 2016, il premio medio della vostra assicurazione si è ridotto di circa 80 euro, pari al 18,3% sul totale. Una riduzione che sta proseguendo inesorabile e che è destinata a continuare anche nei prossimi anni». La scelta del 2012 aveva anche posto fine alla disparità di condizioni tra assicurazioni tradizionali — con agenti e uffici — e assicurazioni telematiche e telefoniche, per le quali «il tacito rinnovo non era mai nemmeno esistito. Ogni anno, ogni loro cliente tornava automaticamente sul mercato, obbligando queste compagnie a fare offerte sempre più convenienti».
Cosa avrebbe fatto un paese serio, si chiede linkiesta? «A partire da questa esperienza, avrebbe vietato il tacito rinnovo ovunque fosse possibile farlo. E infatti il testo originale del ddl Concorrenza ne prevedeva l’estensione al ramo danni e ai rischi accessori alla polizza auto principale. Un paese poco serio, invece, è quello che dopo quattro anni e un crollo verticale del costo delle polizze decide di tornare sui suoi passi con un emendamento infilato a tradimento in un ddl di segno diametralmente opposto (in teoria)». L’emendamento è stato promosso e sostenuto da Laura Puppato del Pd, che ha replicato all’inkiesta sostenendo che «l’abolizione del tacito rinnovo nelle assicurazioni rami danni non obbligatorie sarebbe stato un regalo alle grandi case assicuratrici». Chi ha ragione?
Gianluca Mercuri, il Corriere della Sera