La premier polacca signora Beata Szydlo: “Nulla può essere deciso senza il nostro consenso”. Iniziano le ritorsioni: Varsavia ‘blocca’ le conclusioni del Consiglio Europeo ed esprime riserve sul Vertice di Roma del 25 marzo
ALLA fine ha vinto l‘Europa del nucleo dei fondatori, ma ha vinto al prezzo di un duro scontro con la Polonia, senza rivali il Paese più importante e cruciale della parte est dell’Unione e della Nato. È uno scontro che rompe la prassi delle decisioni all’unanimità e che non promette davvero il meglio per il futuro dei rapporti tra la Ue originaria e il suo vitale centro-est.
Donald Tusk, ex premier liberal polacco dal 2007 al 2015, è stato riconfermato dal Consiglio Ue nella carica che già aveva di presidente. Rieletto, ma non all’unanimità: 27 sì contro un no, quello della Polonia appunto. Varsavia governata dalle libere elezioni dell’ottobre 2015 dalla maggioranza assoluta nazionalconservatrice del PiS (Prawo i Sprawiedlywosc, Diritto e Giustizia, il partito il cui leader storico è Jaroslaw Kaczynski il veterano della rivoluzione di Solidarnosc e antagonista da posizioni di destra patriottica e anticomunista del “Mandela polacco” Lech Walesa) si è infatti opposta fino all’ultimo alla riconferma di Tusk, presentando un candidato alternativo vicino al governo, Jacek Saryusz-Wolski.
“Nulla può essere deciso senza il nostro consenso”, aveva detto in un estremo appello la premier polacca signora Beata Szydlo. E già iniziano le prime ripercussioni. La Polonia ha deciso di bloccare infatti il testo delle conclusioni del vertice europeo, a cominciare dalla parte dedicata alle questioni dell’immigrazione che è stata appena discussa. Il testo passerà comunque ma, a quanto si apprende, sotto forma di ‘dichiarazione della presidenza’ o con la nota del dissenso della Polonia. Inoltre il governo polacco avrebbe espresso delle riserve su alcune parti della bozza della dichiarazione di Roma, che i leader dell’Unione Europea discuteranno in un vertice informale a 27 domani. “Abbiamo problemi sull’Europa a più velocità”, ha spiegato una fonte polacca.
Tusk ha replicato invitando il suo Paese a non tagliare i ponti con l’Unione europea. “Fate attenzione a non tagliare i ponti. Una volta tagliati, non potrete più attraversarli”, ha detto citando un proverbio che ha dedicato “a tutti gli stati membri (…) Ma oggi in particolare al governo polacco”.
Sola contro tutti, Varsavia aveva contro il Partito popolare europeo (Ppe), cui appartengono la cancelliera Angela Merkel e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che avevano fatto chiaramente capire quanto avrebbero fatto muro per imporre Tusk contro ogni obiezione. “La sua rielezione per noi è fondamentale”, dicevano al Ppe. “Mi fa piacere continuare a lavorare insieme a lui”, ha incalzato il lussemburghese Juncker. La Polonia alla fine si è trovata lasciata sola. Persino l’Ungheria sua alleata nel Gruppo di Visegrad (i quattro paesi del centroest cioè Polonia e Ungheria stesse, Cechia e Slovacchia), alla fine per decisione strategica del premier Viktor Orbàn ha scelto la fedeltà al Ppe, cui la Fidesz, cioè il partito di maggioranza guidato da Orbàn e al potere dal 2010, appartiene.
Immediata, e dura, la reazione della maggioranza assoluta di governo polacca. Per il PiS la conferma di Tusk è una decisione sbagliata. E la signora Beata Mazurek, portavoce della premier Beata Szydlo, ha sottolineato: “La rielezione di Tusk mette a rischio l’unità dell’Unione europea, dovremmo chiederci se la Ue potrà restare unita o se questa situazione non ci condurrà a una realtà in cui gli Stati membri avranno poco da dirsi”. Fonti diplomatiche centroest-europee fanno capire che percepiscono la riconferma di Tusk come di fatto un colpo di forza e un Diktat della vecchia Europa, ed esprimono crescenti perplessità sull’idea di Europa a due velocità.
“Nel mio secondo mandato farò di tutto per creare un’Unione europea migliore e più unita, ma riconosco che la mia rielezione è stata un paradosso”, ha commentato Tusk twittando a caldo.
Il rischio di una spaccatura tra Centroest e Ovest dell’Ue appare più forte che mai. Varsavia non ha voluto ricorrere al veto contro la riconferma di Tusk, ma è chiaro a tutti il pericolo che la Polonia paese-guida del centroest di Ue e Nato si riserbi il diritto di bloccare altre scelte importanti nel prossimo futuro. Anche in vista del vertice straordinario di Roma della Ue del 25 marzo che oltre a commemorare l’anniversario dei Trattati di fondazione discuterà di questioni strategiche: dove dovrà andare la Ue, se verso più integrazione, e come, o se verso più poteri agli Stati sovrani nazionali che la compongono come preferirebbero non poche leadership del centro-est. Le quali si sentono anche spesso abbandonate dall’Ovest della Ue davanti alle minacce militari della Russia di Putin.
Tusk è da anni su una linea di scontro frontale col nuovo governo liberamente eletto di maggioranza assoluta polacco. Alcuni esponenti della maggioranza lo sospettano o accusano di complicità con il presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin in un presunto complotto che sarebbe all’origine della sciagura aerea di Smolensk. Quando nell’aprile 2010 l’allora capo dello Stato polacco Lech Kaczynski, fratello gemello di Jaroslaw leader storico e mente del PiS e dei neoconservatori del centroest, in volo verso Smolensk, morì nel disastro aereo in fase di atterraggio insieme a buona parte di governo ed establishment militare e politico polacco. Sarebbe stata una catastrofe organizzata e non casuale, dicono e pensano in non pochi a Varsavia.
La Repubblica