di Cesare Lanza
Scommettiamo che non si è ancora ben accertato perché, dopo Tangentopoli, la corruzione sia aumentata in modo capillare? Se ne parla poco, in questi giorni in cui si ricorda la storica inchiesta del pool milanese, 25 anni dopo. E invece sarebbe interessante un approfondimento. Un’idea ce l’ho ed eccola qui. Le ragioni per cui, dopo la tempesta di Tangentopoli, la corruzione si è diffusa largamente anziché diminuire, mi sembrano tre. La prima: è possibile farla franca, molti all’epoca della tempesta – vi riuscirono, la grandine non piovve dovunque, e mai con uguale intensità. La seconda: anche se colti in flagrante, anche se indagati, anche se condannati, vale la pena di rischiare un modesto castigo di fronte all’infamante delitto. Altro che incubi dostoevskiani! Quante volte abbiamo sentito questa facile battuta: «Qualche giorno di carcere e però avrò sistemato famiglia, figli, nipoti e figli dei nipoti!»? Senza contare la lentezza della legge, la prescrizione e i benefici connessi. Terza ragione: rubare,è molto facile, questo è, tra gli aspetti paradossali post Tangentopoli, il più triste. Le clamorose inchieste mostrarono a un popolo indignato, ma ignaro, quanto fosse facile corrompere e farsi corrompere. E allora perché no? Così, abbiamo assistito a un contagio inimmaginabile: ci si vende, a ogni livello, anche per un tozzo di pane. Anche in forme estreme, vergognose: a danno di malati, bambini, anziani, portatori di handicap. Siamo dunque un Paese di mascalzoni? Certamente no. Ma è augurabile che i milioni e milioni di uomini e donne per bene riescano a far sentire la loro voce.
di Cesare Lanza, La Verità