In una giustamente dimenticata intervista del 2006 un politico italiano ormai non molto presente sui giornali, Pierferdinando Casini, spiegò senza modestia che la sua personale bellezza fisica era un elemento centrale nei difficili rapporti con l’occasionale alleato Silvio Berlusconi: “È la ragione della sua grande invidia di me”. All’epoca il commento attirò l’attenzione che meritava, cioè poca, ma è un’utile sottolineatura di un fattore politico senz’altro significativo, seppure non molto ben definito: l’impatto della bellezza sui processi ideologici ed elettorali. Una ricerca recentemente apparsa sul Journal of Public Economics e condotta dagli economisti Niclas Berggren, Henrik Jordahl e Panu Poutvaara—i primi due svedesi e il terzo finlandese trapiantato in Germania—analizza la questione e trova, tra l’altro, che: “I politici di destra sono più belli di quelli di sinistra in Europa, negli Stati Uniti e in Australia”, le tre aree geografiche prese in considerazione. Sono evidenti i vantaggi elettorali dell’apparenza gradevole, ma i tre erano interessati ad esaminare le cause dell’effetto, specialmente in rapporto agli orientamenti ideologici. Hanno fatto giudicare le foto di candidati in elezioni sia municipali che parlamentari (al Senato, nel caso degli Usa), chiedendo ai partecipanti allo studio di valutare la bellezza dei singoli politici e di stabilirne la tendenza ideologica in base all’aspetto. Gli indici derivati sono stati poi confrontati con i risultati delle contese elettorali per misurare “sul campo” le dimensioni del fenomeno. Secondi i calcoli degli studiosi nordici, “l’effetto bellezza” aumenterebbe di circa il 20% il voto per i candidati orientati a destra e dell’8% per quelli a sinistra nelle elezioni municipali. Nelle elezioni parlamentari invece, l’impatto positivo dell’apparenza provocherebbe un aumento del risultato un po’ minore, di circa il 14%, sia a destra sia a sinistra. La differenza tra le due tipologie d’elezioni dipenderebbe, secondo i ricercatori, dal variabile livello di notorietà dei personaggi in gara: più gli elettori hanno altre informazioni sui candidati, meno sono influenzati dall’aspetto. L’ipotesi causale dei ricercatori è che gli elettori utilizzino la bellezza come indicatore del conservatorismo dei candidati, implicitamente immaginando che più uno sia bello, più sia di destra. Essendo degli economisti, propongono una spiegazione economica per il fenomeno: suggeriscono che potrebbe essere la bellezza stessa la “causa” di tendenze conservatrici in quanto è noto da tempo che i “belli” guadagnano mediamente di più dei “brutti” ed è altrettanto noto—anche a livello scientifico— che in generale più si guadagna meno si è favorevoli alla ridistribuzione economica. Ipotizzano anche una più generale spiegazione psicologica: “I belli, trattati meglio degli altri, sarebbero più portati a percepire il mondo come ‘giusto’, hanno una maggiore probabilità di raggiungere uno status sociale più alto e sono più felici—mentre una comune motivazione di chi invece simpatizza per la sinistra è la percezione che il mondo sia invece segnato dall’ingiustizia”… La ricerca, voluminosa, ricca di citazioni e farcita di complesse formule matematiche per mettere la bellezza in rapporto ai suoi effetti, non è invece corredata dalle foto dei tre autori. Peccato.
James Hansen, Real Geopolitics