Scompare il monopolio più antico del mondo e la polpetta Made in Usa perde il suo marchio di fabbrica. Due operazioni opposte, ma che mirano allo stesso obiettivo: accentrare più potere possibile
Mette del sale sui vostri hamburgheroni: la rivoluzione permanente di Pechino travolge ormai anche gli ultimi simboli di quel capitale che ha dominato attraverso i secoli sulla capitale. Le notizie per la verità sono due e sembrerebbero, a prima vista, fare a pugni l’una con l’altra: Pechino liberalizza la vendita del sale, Pechino statalizza la vendita degli hamburger di McDonald’s. Ma il gioco degli opposti rivela, invece, un’unica verità: come sempre, qui, è lo Stato a farla da padrone.
La liberalizzazione della vendita del sale per i consumatori e cittadini è davvero una liberazione. Era dal 1949 che il Partito comunista salito al potere aveva ereditato il sacro diritto degli imperatori di imporre il monopolio, spedendo in prigione fino a qualche anno fa i poveri privati che si avventuravano a venderlo in proprio. Una consuetudine che andava avanti almeno da duemila anni e di impero in impero, dalla prima dinastia dei Qin a quella inaugurata da Mao Zedong. Ma fatta la legge, che prevede a partire da questo 2017 la vendita secondo “costi di produzione, qualità del prodotto e offerta e richiesta di mercato”, non c’è voluto molto per trovare l’inganno. L’ha scoperto il Financial Times intervistando l’esperto Zou Jialai: “Adesso che i produttori potranno vendere direttamente al mercato” senza più passare dallo Stato “i prezzi certamente scenderanno”. Ma c’è un ma. Il centinaio di aziende produttrici sono già a maggioranza di proprietà statale. Quindi, conclude l’esperto legale di Shanghai, “questo continua a essere un monopolio di Stato”.
Dal sale agli hamburger il discorso si fa più mordente, ma il sapore non cambia. Qui non c’è tradizione millenaria che tenga, ma i simboli eccome se contano. E McDonald’s non rappresenta da sempre la colonizzazione (non solo gastronomica) del made in Usa? Hamburger & Coca-Cola: che cosa c’è di più yankee? Beh, i cinesi sono riusciti a papparsi anche le ‘polpettè di Poldo e Jack Kerouac, come la nostra Italietta aveva tradotto per troppi anni gli americanissimi burger. E sarà adesso il colosso Citic, uno stato nello stato che possiede di tutto, dalle banche in giù, a gestire gli oltre 2.200 negozi in franchising quaggiù. Un’operazione da due miliardi di dollari in cui i cinesi saranno assistiti dal fondo d’investimento Carlyle, che è quel che resta del made in America dell’operazione. Intendiamoci: quella di Maidanglao, come la M con l’arco è conosciuta dal 1990 qui, non è mica una resa, anzi. I particolari dell’intesa non sono ancora noti e l’ufficializzazione è attesa a giorni. Ma intanto il colosso manterrà il 20% della proprietà oltre a incassare il 7% dei guadagni per 20 anni; e poi l’acquirente si impegna ad allargare ancora di più l’impero cinese degli hamburger aprendo altri 1.300 negozi.
È l’ultima frontiera della globalizzazione e la strada è peraltro già stata seguita da altri famosissimi brand come Coca-Cola e Kentucky Fried Chicken. Coinvolgere elementi locali, con migliore conoscenza del territorio, cedendo una parte per allargare il tutto. Per gli ex colonizzatori commerciali è una sorta di ‘divide et impera’. Ma per la Cina, e il suo stato accentratore, si traduce in una parola sola: impera, impera, impera ancora.
Angelo Aquaro, La Repubblica