di Cesare Lanza
E resterà imperturbabile al suo posto, a meno che non sia cacciato dal Pd e/o da chi può farlo, istituzionalmente? Ma, nonostante questa dolorosa sicurezza, al ministro del Lavoro rivolgo un appello.
Qualche tempo fa un tassista mi raccontò: «Ho due figli. Il primo, laureato in ingegneria ma senza lavoro, è andato in Austria, dove lavora come cameriere. La seconda, laureata a pieni voti, ha provato a conquistare un posto da impiegata, in un’azienda. Un vecchio signore, addetto alla prima selezione, si è intenerito e le ha chiesto: “Non hai qualche amico 0 parente, importante, che ti sostenga? Un politico, un vescovo, un finanziere?”. Di fronte a mia figlia sbigottita ha aggiunto: “Tu sei brava, vorrei aiutarti, ma mi hanno detto di tagliare tutti i candidati senza un appoggio…”». Alla fine del suo sfogo, quel tassista aveva le lacrime agli occhi. Ebbene, signor ministro, il mio è un appello umano, non politico. La ragazza italiana morta nell’attentato di Berlino era andata lì a cercare fortuna. Non si commuove, per questo? Centinaia di giovani trovano all’estero lavoro e soddisfazione per i loro meriti, davvero lei è felice, come ha detto, di non trovarseli più tra i piedi? Mentre suo figlio, un privilegiato, vive in Italia alla grande grazie ai contributi dello Stato? Possibile che non senta niente nel suo cuore, al mattino quando si guarda allo specchio? Le chiedo dunque di dimettersi non per un gesto politico, ma per dignità, per pudore, per autocritica. Cari lettori, pensate che Giuliano Poletti mi ascolterà? Io scommetto, con disperazione, di no.
Cesare Lanza, La Verità