In Messico la Ferrari si presenta con poche velleità di successo e la consapevolezza di essere vicinissima a chiudere senza successi per la prima volta dal 1993: “Arrivabene ha molte responsabilità, ma la squadra non è lui, siamo 1300 persone”
CITTA’ DEL MESSICO – Consapevole di essere molto vicina a quel “zero vittorie”, che non vive dal 1993, primato ancora peggiore dell’imbarazzante “zero tituli”, riassunto della vana ricerca di un Mondiale che per Maranello dura da nove anni, la Ferrari si presenta in Messico con poche velleità di successo, l’aspirazione al trionfo ormai è monopolio solo della Mercedes, di Rosberg, al primo match ball iridato (deve vincere e sperare che Hamilton si ritiri o si classifichi peggio che nono), e del suo compagno di squadra inglese, ma con la voglia almeno di centrare il podio. Vettel, una sola volta sui tre gradini nobili negli ultimi dieci gran premi, appare sempre più sconsolato. Gli chiedono di ammettere che la Ferrari quest’anno nello sviluppo è andata all’indietro e lui replica caustico: “Il mio compito è guidare la macchina, non giudicare i passi in avanti del team. Certo, la stagione è stata deludente, lo dicono i numeri, io rischio di passare da tre vittorie a zero, anche se ho ancora la speranza di finire davanti a tutti almeno in Brasile, circuito a noi più congeniale. Non è stato un anno felice, ma noi non dobbiamo mollare, mai, né dobbiamo arrenderci. Bisogna continuare a vedere nella Red Bull un punto di riferimento, visto che ora è con lei che dobbiamo lottare, e nella Mercedes un modello, che prima o poi dovremo riuscire a raggiungere”. Gli chiedono anche se è lui ad essere andato indietro, visto che la sua stagione non è stata impeccabile, ma Vettel preferisce evitare qualsiasi personalismo. Come quando parla di Arrivabene, il capo squadra. Ecclestone sostiene che è troppo solo e che andrebbe aiutato (tra l’altro in questi giorni si è sottoposto ad un raid aereo impressionante, con un lungo viaggio da Austin all’Italia, una veloce riunione tecnica martedì mattina, e poi la ripartenza da Maranello per il Messico mercoledì), ma Vettel non è d’accordo: “Non è vero che è solo, intorno ha un affiatato gruppo di lavoro. Lui sgobba tantissimo, mette molta pressione in quello che fa, ma ha il sostegno necessario”. Come dire che non è abbandonato, ma anche che non tutto deve essere ricondotto, nel bene e nel male, a lui. “Arrivabene – insiste Vettel – ha molte responsabilità, ma la squadra non è lui, è composta da 1300 persone”. E quindi, per analogia, si potrebbe pensare che nemmeno solo sue sono le colpe di quest’annata fallimentare. Vettel in se stesso cerca di trovare le energie per chiudere in maniera dignitosa. “Anche qui abbiamo portato degli sviluppi e speriamo di andare meglio dell’anno scorso”. Dove, a fronte di una buona qualifica, in gara andò a sbattere, coinvolgendo nel suo disastro anche Raikkonen, contrariato per lo scarso grip e costretto per incidente a chiudere in anticipo. Vettel stavolta vuole il podio, “anche se mi rendo conto che pure questo può essere considerato un’impresa, visto che negli ultimi tempi lo abbiamo frequentato poco”.
Dove non si lascia sfuggire l’occasione è nel commento alla battaglia iridata fra Rosberg ed Hamilton. “Preferirei vincesse Nico, è tedesco come me. E poi in questo modo Lewis non potrebbe entrare nel club dei piloti vincitori di quattro mondiali”, circolo esclusivo che invece lui può frequentare. Detto questo, Vettel vede Rosberg grande favorito, “perché un pilota molto esperto e il suo è un vantaggio di assoluta sicurezza”. Solo una gara pazza potrebbe metterlo in difficoltà e a questo proposito Vettel dice la sua anche sulla polemica fra l’utilizzo della “virtual safety car”, anziché della normale macchina di sicurezza in pista. “Capisco il ragionamento del tifoso, vorrebbe sempre la safety car vera, così il gruppo si ricompatta e tutto ricomincia daccapo. Per lo spettacolo è più eccitante, ma per un pilota, se sta comandando la gara, può essere una tragedia. Quella vera distrugge tutto, la virtuale può lasciare le cose come stanno e salvarti. Del resto c’è un limite ai colpi di scena: in una maratona non è che spari ad una gamba di chi sta in testa, per rendere la gara più avvincente”.
Ragionamenti che non toccano Raikkonen, come sempre di poche parole. Lui quest’anno è andato meglio della passata stagione e sostiene che è dovuto “ad un insieme di cose. La macchina è migliore, mi trovo più a mio agio, il feeling è aumentato. E’ una questione di dettagli, sono stati più favorevoli che in passato”. Sul Messico però è disarmante: “Non so cosa aspettarmi, l’anno scorso non avevamo grip e la mancanza di aderenza, al di là degli incidenti in gara, ci ha penalizzato. Speriamo che ora vada meglio”. Quanto alla battaglia fra Rosberg e Hamilton: “Chi sta in testa ha grande fiducia in se stesso. L’ideale sarebbe arrivare all’ultima gara già campione e con un grande vantaggio. Rosberg è quasi in questa stagione, il margine è ampio. Può perdere il titolo solo lui”.
Repubblica