Eppure a noi sembrava che, senza fermarsi a fare le bucce allo “spending” quell’incarico di consulenza ovviamente comprendesse almeno qualche ipotesi sulla “review” del medesimo. E cioè come spendere meglio, per trasformare gli sprechi in utilità. Perché qui, particolarmente nel campo della industria della comunicazione, ci pare che stia il bivio: spendere meno o spendere più utilmente? Se imbocchi la prima via ti trovi inevitabilmente ad affabulare di “sprechi” che, in quanto tali vanno semplicemente eliminati.
Ma gli “sprechi” hanno questa caratteristica: che quando sono cifre piccole non c’è problema a cancellarli, mentre se sono grandi devi andarci piano perché il PIL li contiene (in termini di distribuzione e volume delle risorse fra attività, prodotti, servizi, stipendi e ricavi di imprese). E dunque, per non provocare deflazioni pazzesche, fare la spending review significa (almeno così ci pareva di avere capito) tracciare il percorso concreto per transitare dall’inutile all’utile. Ad esempio, lo spreco di burocrazia che fa funzionare l’attuale Senato, lo cancelli solo se progetti un diverso funzionamento della struttura – in questo caso una struttura istituzionale, il bicameralismo perfetto – che lo determina.
Ma lo stesso potrebbe dirsi della riconversione del corpo professionale e delle linee editoriali della Rai per passare dalla ormai inutile lottizzazione fra potentati ereditata dagli anni ’80 alla utilissima azienda multimediale e editore di riferimento della industria audiovisiva. Oppure, per le industrie dell’audiovisivo, passare dalla sovvenzione assistenziale e di mantenimento, alla spinta strategica per orientarla alla internazionalizzazione e all’allargamento della torta, piuttosto che alla lotta per spartirsene le fettine.
Insomma, è pacifico che molta spesa è fatta di carbone, ma per l’appunto una politica e una élite minimamente ambiziose e sicure delle proprie idee, si industrierebbero a trasformarlo in diamante. Altrimenti saremo condannati a tenerci le ciance del populismo non contraddette e, anzi, in qualche misura alimentate, proprio dal perottismo delle élite.
Il Fatto Quotidiano