Prima la visita dal papa, poi l’incontro con il premier Renzi, infine il faccia a faccia con gli studenti della Luiss. “Far fare l’impreditore significa saper imparare. Non si tratta di sapere tutto, ma apprendere rapidamente”. E dona 500 mila euro alla Croce rossa
E’ arrivato in Italia per il matrimonio dell’amico Daniel Ek, “mr Spotify”, organizzato sul lago di Como. Ma una volta nel nostro Paese Mark Zuckerberg, cofondatore di Facebook, ha visitato anche la capitale. Dopo aver fatto del jogging al Colosseo, ha incontrato il Papa dove ha perorato la sua causa di voler portare connessioni al Web in tutto il mondo. Poi è andato da Matteo Renzi. I due hanno parlato del terremoto, dell’aiuto dato dalla tecnologia nel creare posti di lavoro e di intelligenza artificiale. Già, perché attraverso l’AI Research Partnership Program, Facebook ha appena donato un server da 50 mila dollari all’ImageLab dell’Università di Modena Reggio-Emilia che da anni si occupa proprio di questo. In particolare riconoscimento di cose e persone nei video. A fine giornata un’ora di domande e risposte, parte di quella serie di eventi chiamati “Q&A With Mark”, stavolta organizzato alla Luiss alla presenza degli studenti.
Zuckerberg ha iniziato con una breve introduzione. Meglio: una dichiarazione d’amore per Roma. “Ho studiato latino e storia romana al liceo. Perché sono un disastro con le lingue e il latino ha il pregio che non si deve parlare. Adoro questa città. E la amo così tanto che quando mi sono sposato sono venuto qui in viaggio di nozze. Mia moglie scherzando mi ha detto che eravamo in tre: io, lei e le statue di Augusto”. Subito dopo è iniziato il botta e risposta e la prima domanda è stata fatta a proposito del terremoto. “Quando ho saputo”, ha detto lui, “mi sono subito chiesto cosa Facebook potesse può fare? Una delle cose di cui vado fiero è il Safety Check di Facebook. Ogni volta che c’è un disastro, il nostro scocial network chiede conferma in automatico a chi è nella zona se sta bene. Ha permesso a 50 milioni di persone di dire alla famiglia che stavano bene. Ma vogliamo fare di più. Per questo abbiamo donato mezzo milione di euro alla Croce Rossa. Sono fiero di come la comunità ha risposto. C’è un ristorante ad esempio che sulla sua pagina ha scritto che avrebbe donato un euro per ogni piatto di amatriciana ordinato”.
Nel corso di un’ora, sia dalla sala sia dalle persone collegate via Web, sono arrivate domande di ogni tipo che hanno toccato più o meno tutti gli aspetti della viata di Zuckerberg, da quello familiare a quello lavorativo. E c’è stato anche chi, come Alessio, gli ha chiesto cosa pensasse di Pokémon Go e cosa stesse facendo in fatto di realtà aumentata e virtuale. Ma le risposte migliori sono arrivate per lo più parlando di organizzazione aziendale e di mitologia. Esatto, anche di mitologia: Enea, con la sua perseveranza e l’aver creduto in un progetto assieme ad altri, è un modello per un imprenditore. A Cristina ad esempio ha spiegato che fare l’impreditore significa saper imparare Non si tratta di sapere tutto, ma apprendere rapidamente. “Nessuno infatti è giudiacto alla fine dai fallimenti, ma da quanto riesce a cambiare il mondo. Una delle mio storie preferite è l’autobiografia di Albert Einstein. Lui credeva fosse necessario fare molti errori. Ma nessuno se li ricorda, si parla solo dei suoi successi perché sono costruiti su quegli sbagli”. Facile a dirsi se uno si chiama Zuckerberg e ancor più Einstein, un po’ meno a farsi. Ma è vero che da noi l’errore più comune, oltre a non coltivare il valore dell’errore come parte di un processo, è pensare che bisogna partire da una grande idea e che quell’idea si può mettere in pratica da soli. E invece si tratta di un processo collettivo, graduale, fatto di tanti ostacoli. Un processo nel quale la tenacia gioca un ruolo fondamentale. “Ne conosco tanti che hanno gettato la spugna troppo presto o per i motivi sbagliati”. Ha anche ricordato che continua a lavorare con le persone con le quali lavorava all’inizio. Sottolineando quanto sia importante circondarsi delle figure giuste.
L’unica vera domanda cattiva, relativamente parlando, è arrivata verso la fine. Alessio gli chiede se ha mai pensato di aver rovinato milioni di rapporti faccia a faccia con la nascita di Facebook. Zuckerberg ride, e risponde (ovviamente) di no. “Altrimenti avrei cambiato tutto”. Facebook non rovinerebbe i rapporti, non si sostituisce alle relazioni faccia a faccia ma avvicina le persone che sono lontane o che si vedono magari poco. Davide chiede invece se si sente un editore. E lui di nuovo risponde di no. “Siamo una aziende hi-tech non una azienda dei media. Costruiamo gli strumenti per i media. I media sono necessari, ma lo sono altrettanto i social media ben più diversificati e capaci di dar voce a opinioni opposte”. Diversi gli accenni alla famiglia, dai valori trasmessi dai suoi nonni e dai suoi genitori, alla figlia che ancora gattona. Molto veloce nel parlare, facile al sorriso e altrettanto rapido nel passare da una battuta a un discorso più serio, del cofondatore di Facebook si può pensare più o meno tutto. Ma su una cosa ha ragione: negli anni è cresciuto ed ha appena 32 anni. Più sicuro dei suoi mezzi rispetto al passato quando parla in pubblico, eppure con quella trasparenza di fondo (vera o studiata a tavolino che sia) capace di creare un ponte immediato fra lui e chi lo ascolta. Il tutto malgrado il patrimonio personale da 54 miliardi di dollari e un’azienda che ha oltre un miliardo e mezzo di utenti dei quali 29 milioni in Italia. Anche questa è una abilità.
Repubblica