L’anno prossimo il numero di persone occupate tornerà ai livelli pre-crisi nell’area Ocse dei Paesi più avanzati economicamente, ma la ripresa continua a essere fragile e il tasso di disoccupati troppo alto in molti Paesi europei. E’ la diagnosi del rapporto dell’Organizzazione parigina sul mercato del lavoro, presentato oggi nella capitale francese. Uno degli elementi di preoccupazione sottolineato dall’Ocse è legato al fatto che i Neet, i giovani che non sono né in cerca di occupazione né presi dagli studi, rischiano di restare indietro rispetto alla ripresa complessiva. L’anno scorso, infatti, il 15% dei ragazzi tra 15 e 29 anni nell’area Ocse è ricaduto in quella categoria, con l’aggravante che si tratta in molti casi (più di uno su tre) di giovani che non hanno terminato gli studi superiori e per questo incontreranno difficoltà nell’inserimento sul lavoro.
Precariato. Tuttavia, oltre la metà degli under 25 italiani che lavorano è precario, e la percentuale è aumentata tra il 2104 e il 2015, dal 56% al 57,1%. In crescita anche la percentuale di giovani che sono rimasti nello stesso posto di lavoro per meno di un anno, dal 37,9% del 2014 al 43% del 2015. D’altra parte, nonostante il calo dello scorso anno, l’Italia è il terzo paese dell’Ocse per disoccupazione giovanile con un tasso che rimane al 40,3% davanti solo a Spagna (48,3%) e Grecia (49,8%). Tra gli under 25 è inoltre scesa la partecipazione alla forza lavoro, dal 30% al 29%, in controtendenza con il dato generale che ha visto un lieve aumento, di 0,1 punti percentuali. Il calo è più marcato tra le ragazze (-1,5 punti al 24%) che tra i ragazzi (-0,6 punti al 33,7%).
Salari. La crisi, oltre che sul lavoro, “ha avuto un effetto negativo anche sui redditi e il divario salariale che ne è risultato potrebbe essere difficile da chiudere” rileva il direttore della divisione Lavoro dell’Ocse, Stefano Scarpetta, nel testo di apertura dell’Employment Outlook.
“L’aumento della disoccupazione durante la crisi è stato seguito da un calo dei salari nei Paesi più colpiti”, come la Grecia, il Portogallo e la Spagna, “ma quasi dovunque i salari sono rimasti stagnanti o sono cresciuti a malapena”, aggiunge, precisando che il calo ha toccato sia il valore nominale che quello reale dei salari. “Non è certo se i lavoratori potranno mai recuperare i potenziali incrementi di salario persi dal 2007, soprattutto se la crescita della produttività rimane debole – dice ancora Scarpetta – Le prospettive per un ritorno a vigorosi aumenti dei salati sono strettamente legati alla capacità dell’economia globale di uscire dall’attuale equilibrio di crescita bassa, caratterizzato da bassi investimenti, crescita della produttività ridotta e commercio internazionale storicamente debole, cosa che a a sua volta richiede una risposta politica complessiva, con un uso più ambizioso delle politiche di bilancio e riforme strutturali addizionali”.
Jobs Act. “Dopo numerosi anni di crisi, il mercato del lavoro italiano sta lentamente migliorando: il tasso di occupazione per la popolazione tra i 15 e 74 anni ha ripreso a crescere dal primo trimestre 2015 e si attesta ora al 49,4%”. Lo scrive l’Ocse nella nota dedicata al nostro Paese dell’Employment outlook, sottolineando però che il dato italiano è il terzo più basso tra i Paesi Ocse, dopo la Grecia e la Turchia, e dovrebbe restare inferiore al livello pre-crisi anche nel 2017. Il tasso di disoccupazione, aggiunge la nota, “è sceso a 11,5% dal picco del 12,8% e secondo le previsioni dovrebbe scendere a 10,5% entro la fine del 2017. Tuttavia si tratta ancora di un valore molto superiore alla media dell’area euro”. Il Jobs Act – sempre secondo Ocse – ha avuto effetti positivi sul mercato del lavoro italiano, e in particolare “ha incentivato l’uso di contratti a tutele crescenti al posto di contratti temporanei con creazione netta di occupazione”, ma ora “l’azione di riforma deve continuare, in particolare per rendere pienamente operativa l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro”. Inoltre, afferma l’organizzazione, “consentire di derogare dal contratto nazionale in caso di difficoltà economica permetterebbe alle imprese di usare altri margini di aggiustamento oltre all’occupazione”, e “ridurre i vincoli alla concorrenza nelle industrie di rete” a livelli più vicini a quelli di altri Paesi Ocse renderebbe “i loro servizi più convenienti alle imprese che ne fanno uso” e “aumenterebbe l’occupazione”.
Repubblica