Nella governance del nuovo istituto l’eredità delle vecchie banche cooperative. I dipendenti iscritti da 5 anni a libro-soci possono presentare una candidatura per il consiglio d’amministrazione. E l’attuale board potrà presentare, nel 2020, una sua lista per il rinnovo degli organi. La Bce ha approvato le clausole della bozza di statuto
Nonostante sia stata valutata — e poi approvata, sia pure ancora solo in via preventiva — dalla Bce come una banca spa del tutto nuova, la futura Bpm-Banco Popolare è riuscita a conservare alcuni tratti del vecchio spirito cooperativo, a cominciare dalla presenza dei dipendenti-soci nel consiglio di amministrazione.
Quando mercoledì 23 marzo i due istituti hanno presentato la fusione è stato specificato che «nello statuto sarà previsto un meccanismo di rappresentanza consiliare dei dipendenti». Secondo diverse fonti a conoscenza del dossier, nel consiglio a 19 membri — che sarà presieduto da Carlo Fratta Pasini, attuale numero uno del Banco, con amministratore delegato l’attuale ceo di Bpm Giuseppe Castagna e Pier Francesco Saviotti (Banco) alla guida del comitato esecutivo — alle rappresentanze dei lavoratori sarà riservato un posto nel consiglio, da eleggere in assemblea. I dipendenti che sono iscritti da almeno 5 anni nel libro-soci hanno diritto a presentare una lista, con un candidato per il consiglio. Il quorum per la presentazione sarà agevolato, ovvero serviranno meno azioni rispetto agli altri azionisti di capitale, sembra attorno all’1%.
La presenza dei lavoratori dentro il board è da sempre una richiesta dei sindacati dei bancari — per poter avere una più forte voce in capitolo in particolare nelle questioni che riguardano ristrutturazioni ed esuberi — ma soprattutto serve a dare rappresentanza alla componente, ancora forte in Bpm, dei dipendenti-soci dai quali dipendono le ultime, fondamentali, assemblee di Bpm: quella del 30 aprile che dovrà rinnovare il consiglio di sorveglianza (sembra si vada verso una lista unitaria insieme con i soci-non dipendenti di Pietro Lunardi) e poi quella di novembre in cui si voteranno la trasformazione in spa e la fusione.
C’è un altra condizione di favore inserita nella bozza di statuto che la Vigilanza Unica della Bce guidata da Danièle Nouy avrebbe accettato e che va nel senso del mantenimento di potere nelle mani dei maggiorenti attuali dell’istituto. Ed è la possibilità che sia lo stesso consiglio uscente, nel 2020, a presentare una lista per il nuovo board. Chi ha seguito le trattative tra le banche e poi con la Bce conferma l’esistenza di questa clausola, che comunque non è inedita nel panorama degli istituti italiani (l’hanno introdotta per esempio Mediobanca e Veneto Banca), anche se non mai stata usata finora.
In Bpm-Banco potrebbe assumere particolare rilevanza per il fatto che l’istituto nasce come public company, dunque senza azionisti forti che possono coagulare il consenso su una propria lista di candidati. Essendo una fusione pressoché alla pari (il 54% in mano agli ex soci del Banco e il 46% in mano agli ex Bpm) i principali azionisti con quote attorno al 2% dovrebbero essere post fusione il fondo Athena di Raffaele Mincione, ora al 6% circa di Bpm, e la Fondazione Cr Lucca, se l’ente toscano seguirà l’aumento di capitale da 1 miliardo del Banco Popolare.
Queste condizioni sarebbero state richieste soprattutto dal fronte veronese ma fanno gioco anche a quello milanese, grazie alla maggioranza qualificata necessaria dentro al board per l’approvazione della «lista del consiglio». La Bce ha invece eliminato tutte le altre clausole che limitavano il confronto all’interno del consiglio o in assemblea attraverso maggioranze qualificate per determinate decisioni, in particolare quelle straordinarie.
Corriere della Sera