Expo, la lente della Corte dei conti: perdite per 7,4 milioni, espropri troppo lenti e pochi soldi dalla provincia

expoLa magistratura contabile ha passato in rassegna i numeri della manifestazione, ancora in rosso in attesa che parta l’evento. Sotto accusa, i modi per acquistare i terreni dai privati e contributi dei soci. Il maggior onere (84%) è stato a carico del Ministero dell’Economia

MILANO – Expo 2015 Spa, nel 2013, ha chiuso l’esercizio con una perdita economica di 7,42 milioni di euro, 2,39 milioni in più rispetto al 2012. Una perdita, questa, riconducibile “in gran parte al pianificato aumento dei costi della produzione”. E’ quanto si legge nella relazione sul risultato del controllo sulla gestione finanziaria di Expo 2015 per il 2013.

Il bilancio in rosso. Secondo i magistrati contabili, il risultato negativo “è da riferirsi alla nota, particolare natura della Società che, quale società di scopo, vede la concentrazione della maggior parte dei costi nei primi anni di attività e la posticipazione dei ricavi alla data di realizzazione dell’evento”. Peraltro, annota ancora la Corte dei Conti, i ricavi, di 67,13 milioni di euro, sono comunque aumentati rispetto ai 28,67 milioni di euro del 2012, per effetto, principalmente, dei diritti di sponsorship provenienti dai grandi partners commerciali. Inoltre, spiega ancora la Corte, “l’incremento delle disponibilità liquide, dai 186,89 milioni di euro del 2012, ai 348 milioni di euro del 2013, e la sensibile misura dell’avanzo finanziario sono sintomi degli effetti dei ritardi connessi con la consegna frazionata dei terreni, che, incidendo sul cronoprogramma dei lavori, ha determinato lo slittamento al 2014 di alcuni investimenti e, di conseguenza, anche consistenti varianti in corso d’opera (pari a 38,5 milioni di euro) e rilevanti “riserve” da parte delle imprese appaltatrici”.

Lo scontro Comune-Regione per l’acquisto dei terreni. A questo proposito, la Corte ha anche ricordato come, “dopo alterne ipotesi, l’area effettivamente individuata quale “sito espositivo” risulti per l’85% di proprietà privata, e come tale circostanza abbia indubbiamente determinato diverse criticità, sia per i costi di acquisizione che per le difficoltà operative connesse alle procedure di rilascio delle aree, ed ha evidenziato come la convergenza di interessi pubblici e privati che ne ha costituito lo scenario di fondo, tipico del partenariato pubblico privato, avrebbe potuto essere caratterizzato da un diverso e più omogeneo coinvolgimento degli operatori privati coinvolti, specie nella ripartizione dei rischi e nell’efficientizzazione delle risorse, in ragione della loro natura pubblica.

Tra le criticità fin da subito manifestatesi per la società di gestione nell’acquisire la disponibilità dei terreni privati, la Corte ha evidenziato “quelle connesse alle divergenti vedute tra Regione Lombardia e Comune di Milano, circa il regime giuridico da adottare per l’acquisizione delle aree, con la conseguenza che tali vicende hanno condizionato tutta la fase iniziale di gestione dell’evento, compromettendone l’efficiente programmazione preliminare e la tempestiva operatività”.

Lo scarso contributo dei soci. Una “situazione di stallo” che non si è risolta “neanche dopo la costituzione, a giugno 2011, di un’apposita società pubblica, la Arexpo S.p.A., incaricata dell’acquisizione dei terreni, a causa dei tempi tecnici delle procedure di esproprio e compravendita, che si sono protratti sino a luglio 2012”. Ad aver “influito negativamente sull’azione della società” anche la flessione del sostegno finanziario dei soci, Provincia e (in misura minore) Camera di commercio di Milano; in effetti, a fronte degli interventi di tali due Enti, pari rispettivamente al 2,40% e al 2,18%, del totale cumulato per azionista, nel 2013 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha contribuito per l’84%, il Comune di Milano per il 14,15% e la Regione Lombardia per il 10,87%.

La Babele delle leggi. A questo si aggiunge, prosegue la nota dei magistrati contabili, “una cornice normativa in continua evoluzione”. Il regime derogatorio confermato con la Legge 6 maggio 2013, “pur se motivato con i rischi per le incolumità delle persone e per la tutela dei beni, nonché con i ritardi cumulatisi per cause esterne alla Società, necessita di valide strategie compensative, affinché sia comunque garantita la scrupolosa osservanza, almeno, dei principi generali negli affidamenti di opere pubbliche”. Non solo. Per la Corte dei Conti, sarebbe anche “auspicabile” una “disciplina ‘dedicata’ ai grandi eventi, piuttosto che la rilevante quantità di deroghe alla normativa ordinaria” che meglio potrebbe intervenire “sulla gestione di tali peculiari opere pubbliche, approntando nel contempo gli strumenti di controllo più idonei a garantirne la legalità.”

La corruzione. E a tale proposito, la Corte ricordato come, dopo le note indagini giudiziarie relative ad ipotesi corruttive a carico anche di due dirigenti della società, il D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito nella Legge 11 agosto 2014, n. 114) abbia poi attribuito al presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, compiti di alta sorveglianza e garanzia della correttezza e della trasparenza delle procedure connesse alla realizzazione delle opere.

Share
Share
Torna in alto