QUANDO GIOVANNI SCHIACCIAVA ZANZARE CON I LIBRI DI MARX
Enrico amava il poker.Giovanni il biliardo. Il primo era un sognatore. Il secondo non sognava mai (neanche adesso). Uno con le ragazze era timidissimo, l’altro un brillantone. Ritratto inedito di due fratelli con la passione per politica fatto da un illustre cugino che li ha visti molto da vicino. Fin da piccolissimi.
INTERVISTA DI CESARE LANZA SU “SETTE”
Lui lo ha conosciuto bene, Enrico Berlinguer. E anche il fratello di Enrico, Giovanni, oggi candidato alla segreteria dei Ds, ex Pds, ex Pci, di cui Enrico fu memorabile leader.
Il testimone eccezionale è Sergio Siglienti, legato ai due Berlinguer da un rapporto di parentela e, in gioventù, da un quotidiano, intimo rapporto affettivo. Un testimone anche distaccato, di particolare oggettivita. Nonostante la frequentazione con i due fratelli Berlinguer durante gli anni del liceo e dei primi avvicinamenti alla politica, infatti, Siglienti – 75 anni, manager di prima linea, una vita alla Banca Commerciale, ex presidente dell’Ina, oggi in pensione – non è mai entrato operativamente in politica né ha militato nel partito comunista.
Con precisione, qual è il livello di parentela con i Berlinguer?
“E’ semplice, siamo cugini primi. Mia mamma, Ines Berlinguer, era sorella di Mario, padre di Enrico e Giovanni Berlinguer. Fra noi tre, una differenza di due anni e quattro anni. Io sono nato nel 1926, Giovanni nel ’24, Enrico era del ’22. Ma, oltre che parenti stretti, c’è stato un rapporto familiare stretto perchè, quando eravamo adolescenti, vissi a casa loro a lungo.”
Come mai?
“Erano gli anni di guerra e la mia famiglia era separata, in parte a Roma, in parte a Sassari. E io andai a vivere con gli zii.”
Frequentavate lo stesso liceo?
“Sì: il mitico Azuni, un liceo classico molto noto, ovviamente in classi diverse. Un’ottima scuola, con grandi insegnanti. Enrico eccelleva in filosofia: ricordo un bravo professore, Forteleoni, con cui aveva un bel rapporto di amicizia al di là del liceo.
Si scambiavano libri, si incontravano, discutevano… Enrico arrivò al marxismo partendo dagli studi di Hegel e Croce.”
E Giovanni?
“Prediligeva le materie scientifiche.”
Mi dica qualche ricordo, qualche flash, su casa Berlinguer.
“A me avevano dato la camera di Enrico, una piccola camera austera, tappezzata di libri di Marx…”
Ho letto, però, che quei volumoni a Giovanni Berlinguer interessavano soprattutto per schiacciare le zanzare.
“Ed è vero. Io e lui usavamo quei libri per ammazzare le zanzare contro i muri. Difatti quasi tutti i libri erano macchiati di sangue, sulla copertina e la controcopertina.”
E non li leggevate?
“E come no. Non c’era poi molto altro da leggere. Per quanto mi riguarda, leggevo Marx con la lucidità del sedicenne: le sue tesi non mi hanno mai convinto.”
E i Berlinguer?
“Giovanni era abbastanza indifferente. Enrico, invece, un sostenitore e lettore convinto, ma di animo liberale: discuteva con me, ma non ricordo mai alcuna imposizione o arroganza intellettuale, da parte sua.”
Insomma, non tentava di persuaderlo ad ogni costo…
“Ricordo un episodio simpatico, un giorno d’estate. Quando Enrico si iscrisse al pci. Mi disse: mi devi accompagnare in bicicletta, di notte, in un certo posto… Vuoi venire con me? Naturalmente, come qualsiasi ragazzo curioso, gli dissi di sì. Mi attraeva il mistero.
Ma, dopo questa lunga passeggiata in bicicletta, lui mi portava in canna, come si diceva,
arrivammo di fronte a una casa isolata in campagna e mi disse, senza possibilità di obiezioni: tu, aspettami qui! Tentai invano di ribellarmi: niente da fare. E così mi ritrovai in mezzo ai prati, in compagnia delle sole cicale. Dalla casa mi arrivavano canti, risate e il chiasso delle voci…”
E di cosa si trattava?
“Era una riunione segreta, di comunisti e simpatizzanti, nel casolare di un floricultore. Finalmente Enrico tornò e mi mostrò con orgoglio la sua prima tessera di iscrizione al partito comunista, con la falce e il martello.”
E lei?
“Io, niente. Enrico all’ultimo momento aveva deciso di non coinvolgermi, sia perché ero giovanissimo, credo, sia perché non ero convinto, e soprattutto, forse, perché temeva le reazioni di mia madre…”
E Giovanni, in tutto questo…?
“Giovanni, pur rispettoso verso la linea del pci, è sempre stato contrario agli stalinismi. Forse ricordo male, ma mi sembra che non abbia mai fatto un viaggio in Urss.
E quando Enrico, negli anni ottanta, arrivò allo strappo, ricordo il suo commento al telefono. Una sola parola: “Finalmente!”. Se la decisione fosse toccata a lui, credo che lo strappo sarebbe arrivato assai prima.”
Ma, nell’episodio della scampagnata in bicicletta, Giovanni dov’era?
“Se ricordo bene, era impegnato nella preparazione di un esame. Al pci si iscrisse successivamente. Bisogna precisare bene che Enrico con costanza, da giovane, era molto attivo. Quando i tedeschi si ritirarono dall’isola, sotto il governo Badoglio, Enrico fu tra i protagonisti di una manifestazione e arrestato per raduno sedizioso: si fece tre mesi di carcere duro, sostanzialmente perché era comunista; gli altri partecipanti non comunisti alla manifestazione se la cavarono senza problemi.”
Quali erano le differenze di carattere tra i due fratelli Berlinguer?
“Enrico era solitario, taciturno, romantico. E la solitudine era un suo fascino. Giovanni, fin da ragazzo, era un ottimo comunicatore: Un parlatore brillante. Forse Enrico aveva sofferto di più per la morte prematura della madre.”
E la formazione culturale?
“Enrico era un idealista, aveva passione, come le ho detto, per gli studi di storia e filosofia, per lo storicismo crociano, leggeva Hegel… Era un sognatore. Aveva nel cuore e nella mente il progetto di una società nuova e giusta.”
E Giovanni?
“Era un ragazzo concreto, preciso, pragmatico. Al liceo andava bene nelle materie scientifiche, in quelle letterarie e umanistiche invece riusciva proprio male, forse una volta fu addirittura bocciato. Significativo però, dopo l’esame di maturità, un suo scatto di orgoglio e di volontà. Consapevole com’era della sua debolezza culturale in quel settore, si impose – senza l’obbligo di esami – di rileggere gli autori classici, scrittori poeti e filosofi latini, greci… Anche in piena notte, potevi trovarlo con un libro di Ovidio o Petrarca in mano. Era rimasto indietro e voleva mettersi alla pari.”
Un gesto inaudito di volontà…
“Non a caso Giovanni ha, oggi, uno spessore culturale, che nessun altro uomo politico forse può vantare: se si eccettua Andreotti, a cui manca però la parte scientifica.”
Altre differenze, tra i due fratelli?
“Nella passione per la musica. Enrico era romantico, amava Wagner, anche se oggi potremmo dire che questa passione non era politicamente corretta. E amava anche Brahms. Giovanni invece prediligeva le geometrie di Bach.”
Siamo a livelli, culturali, molto alti.
“Sassari all’epoca era una città straordinaria e gli interessi di una certa colta borghesia erano, mediamente, questi.”
Ricordi di altre abitudini diverse, dei due fratelli? A parte gli interessi culturali e politici.
“Le diversità erano spiccate e tali sempre sono rimaste. Da ragazzo, Enrico amava il poker. Gli piaceva il rischio: ad esempio le uscite avventurose in barca a vela. Giovanni adorava il biliardo, era un campione di carambola: una specializzazione che potrebbe essergli utile, oggi, in politica.”
I due fratelli andavano d’accordo?
“Come tra tutti i fratelli del mondo, c’erano anche litigate e, raramente, anche un po’ di botte. Ma sostanzialmente l’accordo era perfetto. Colpiva, tra i due, il rispetto reciproco.”
Fino a che punto Enrico influenzò politicamente Giovanni?
“Dalle scienze esatte non si arriva al comunismo. L’influenza di Enrico certamente ci fu e Giovanni fu un comunista ortodosso, in buona fede. Tenga presente che essere comunisti era, all’epoca, un modo di rappresentarsi, in primo luogo, come antifascisti: i padri erano azionisti e soti, i giovani si orientavano verso il comunismo…”
In particolare, nella famiglia Berlinguer, com’erano le radici?
“Il nonno, Enrico Berlinguer, era un sassarese famoso, un grande personaggio. Intanto era gigantesco, alto almeno 1.90, una misura che per un sardo è assolutamente straordinaria. Girava con un cappello verdiano, a larghe tese. Era il capo dei repubblicani durante il regno dei Savoia, una condizione certo non semplice: altro che i comunisti, durante il fascismo! E successe che quando ci fu la prima visita di Vittorio Emanuele a Sassari, lui andò ad accoglierlo e così divenne il bersaglio di critiche molto aspre, sdegnate. Ma lui, che aveva un grande carisma, mise a tacere tutti con una sola frase: “Per un sardo”, disse “il dovere di ospitalità viene prima di tutto.”
Cosa ricorda ancora, scavando nelle radici della famiglia?
“Un bisnonno di Enrico, Gerolamo, era stato il comandante dei carabinieri di Sassari. Un personaggio eroico. La leggenda ricorda che aveva sfidato a duello un pericoloso bandito, lo aveva catturato e infine lo aveva portato a Sassari, prigioniero e sanguinante, tornando dalla montagna a cavallo. La caserma dei carabinieri è tuttora intitolata alla sua memoria. Durante gli anni del fascismo, Mussolini attraverso vari prefetti
tentò varie volte di far cambiare nome alla caserma, ma non ci riuscì mai: i carabinieri, con rinvii e altre dilazioni, ogni volta prendevano tempo… Molti anni dopo Enrico andò in visita alla Fiera di Milano e, giunto al padiglione dei carabinieri, fu accolto con un saluto significativo, con esplicito riferimento alla caserma Berlinguer: “Le esprimiamo gratitudine”, disse il comandante di Milano, “per la sua terra e la sua famiglia”.
Torniamo alla vostra vita quotidiana di adolescenti. Cosa si faceva a Sassari, negli anni quaranta, durante la guerra?
“C’era ben poco da fare. Come ho ricordato, a parte gli studi, le letture e la segreta attività politica, Enrico amava il poker. E giocava “con la mantella”, come dicevamo noi…”
Che vuol dire “con la mantella”, era forse un giocatore difensivo?
“Altrochè. Sì, era coperto, non andava mai a vedere i rilanci degli altri. Un atteggiamento tattico e astuto, calcolato. Perché Enrico era un fondista, assai paziente. Logorava, stancava gli avversari e aspettava con calma che fossero esausti. E poi, a un certo punto della partita, rilanciava, aumentava la posta e li faceva fuori.”
E Giovanni?
“Non lo ricordo a poker. Lui era il bello della carambola. A biliardo non lo batteva nessuno.”
E con le ragazze?
“Enrico era timidissimo. Erano per lo più le ragazze, attratte dal suo carattere riservato e solitario, a fargli la corte, a fare il primo passo. Giovanni era brillante, sempre circondato da ragazze carine. Poi tutti e due, per sposarsi, sono andati fuori dalla Sardegna.”
C’erano gelosie tra i due, rivalità in questo campo?
“Con le ragazze? No. A quell’età due anni facevano la differenza, nelle frequentazioni.”
Non abbiamo detto che cosa si mangiava, si beveva…
“Il rigore di Enrico finiva a tavola. Ricordo certe aragoste trionfali a Stintino, aggredite di slancio e con entusiasmo… E così tutti i piatti caratteristici della cucina in Sardegna. Anche Giovanni amava la buona tavola e il buon vino. Ma non ricordo di averli mai visti una volta sola ubriachi o anche, semplicemente, brilli.”
E com’era il rapporto, a Sassari, tra i Cossiga e i Berlinguer? In che cosa consisteva il rapporto di parentela, di cui spesso si parla?
“Non era un vero rapporto di parentela, ma di discendenza. Il nonno per parte di madre di Enrico Berlinguer e il nonno per parte di padre di Francesco Cossiga erano fratellastri.”
C’erano relazioni?
“C’era un forte legame di stile e di rispetto, nonostante le diversità. Tanto per fare un esempio: i Cossiga, come anche i Segni, andavano in parrocchietta, come dicevano noi, erano molto religiosi. Ma non ricordo una sola volta che i Berlinguer, laici, li prendessero in giro, o facessero qualche battuta, anche appena scherzosa. E viceversa. C’era tolleranza, stima.”
Insomma, una Sassari straordinaria, in quegli anni.
“Parliamo della Sassari alta: un quadrilatero di 100 metri. Nella parte bassa, dove c’era la stazione ferroviaria, vivevano gli artigiani, i commercianti, gli operai, gli impiegati. Poi c’era il corso che portava su, fino a piazza d’Italia. Borghesi, professionisti, nati a pochi metri uno dall’altro… Questo pezzetto della Sardegna ha dato all’Italia due presidenti della Repubblica e del consiglio dei ministri, un segretario del partito comunista…”
Nella sua rievocazione colpisce, soprattutto, il livello culturale.
“Sassari è stata, per secoli, una importante università europea. Con una tradizione profonda, nobile. Le origini dell’ateneo risalgono al Seicento. La facoltà di medicina, tra le altre, è famosa: in particolare la specializzazione in oculistica. Mentre l’università di Cagliari, a parte alcune facoltà minori precedenti, è recente: sostanzialmente fu realizzata da Mussolini, durante il fascismo.”
Arriviamo a un giudizio finale, sintetico, sui due Berlinguer.
“Enrico aveva un sogno, il sogno di una civiltà migliore. Un po’ alla Luther King. E credeva in un progetto di pacificazione, diceva che il pci era il più grande partito cattolico, credeva nella collaborazione con le altre forze cattoliche, non comuniste.
Il compromesso storico nasce da questo ideale, la volontà di creare, con l’unità e la solidarietà, un’Italia più civile.”
E Giovanni?
“Giovanni non sognava e non sogna. E’, prima di tutto, uno scienziato. Qualità e difetti? Si riassumono nella stessa caratteristica. Giovanni non è un politico: questa è una qualità, perché lui può portare con sè valori e metodi di lavoro che in politica spesso sono ignorati o calpestati , la coerenza, la volontà, la costanza, la determinazione. E non è responsabile di errori passati. Ha le mani pulite: in senso politico voglio dire, perché dal punto di vista dell’integrità morale ci sono molti altri uomini politici con le mani pulite. Ma questa estraneità alla politica è forse anche un difetto, o un limite, perché dovrà accettare compromessi e pasticci, accordi e mediazioni che la politica prevede inevitabilmente. E in questo certo non ha né esperienza né predisposizione. Si vedrà quando metterà le mani in pasta, nella politica quotidiana.”
Quindi come considera la sua candidatura alla guida dei Ds?
“Mi sono sorpreso che glielo abbiano chiesto e sorpreso anche che lui abbia accettato. Vero è che gli attuali dirigenti della sinistra hanno poche qualità, o nessuna qualità, e dunque, sotto un certo punto di vista, era quasi inevitabile che Giovanni Berlinguer, sia pure a 77 anni, avendo alcune fondamentali qualità, venisse precettato.”
Sarà un traghettatore, un pontiere?
“Non lo so e non mi sembrerebbe corretto fare previsioni sul futuro. Certo, per carattere, Giovanni non è un traghettatore e mi sembra che lo abbia dichiarato con chiarezza.”
A parte la gioventù: qualche ricordo più recente, sui due fratelli?
“C’è un episodio divertente. All’epoca delle Brigate Rosse, il pci di Berlinguer
com’è noto si dissociò e con fermezza condannò il terrorismo, con una linea rigida, inflessibile. E una volta Enrico scrisse o dichiarò che, sulla base di questo principio, era pronto a incontrare chiunque e dovunque. Allora Montanelli, con la prontezza del suo formidabile intuito, colse l’occasione giornalistica (era direttore del Giornale, osteggiato dalla sinistra) e gli chiese di incontrarlo. L’appuntamento fu combinato a tarda sera, verso le dieci, al ristorante del Turin Palace.”
E come andò?
“I due si trovarono davanti a un piatto di insalata, Indro notoriamente mangiava pochissimo. E a un certo punto Montanelli esclamò, con il suo stile brillante: “Noi siamo divisi da tutto. Ma ci unisce questo rigore: in mezzo a noi c’è l’Italia mangereccia!” Ricordo che riferì in un articolo questa battuta. Ma c’era un retroscena.”
Quale?
“Enrico era diffidente per natura. Quindi, probabilmente, aveva immaginato da che tipo di vivande fosse atteso, all’appuntamento con Montanelli. E ho già ricordato che amava la buona tavola. Quindi, quella sera, due ore prima dell’incontro, era venuto a cena a casa mia. E mia moglie gli aveva preparato la pasta alla botarega, un bel pesce al sale, il formaggio sardo marcio con i vermi, una serie di dolci tipici della Sardegna…”
E lei mantenne il segreto?
“Nient’affatto. Lo raccontai a Montanelli, che in un successivo articolo precisò, sobriamente, com’erano andate le cose. Senza entrare, elegantemente,
nei particolari di quel menu di casa Siglienti.”
E con Giovanni come sono i rapporti, oggi?
“Ogni tanto ci sentiamo, ogni tanto ci vediamo, ma raramente, a qualche concerto. Ieri sera l’ho chiamato al telefono, per dirgli che avrei fatto questa intervista.
E per verificare la mia memoria, su quel “Finalmente!” di cui abbiamo parlato prima: il commento che fece, una parola sola che diceva tutto, quando Enrico strappò, rispetto a Mosca.”
E lei, Siglienti, che rapporto ha avuto con la politica?
“Non ho mai svolto direttamente un’attività politica. Non ho mai votato per
i partiti ideologici: per essere chiaro, mai pci, mai dc, mai msi. Credo di aver votato un paio di volte per i soti e poi, quasi sempre, davo il mio voto ai repubblicani. Mio padre era un dirigente del partito d’Azione, era molto amico di Ugo La Malfa.”
E i comunisti?
“Con i giovani comunisti, e con i miei due cugini Berlinguer, giocavo a pallone. Enrico amava il football, era un centrattacco sfondatore: quando entrava in area, lavorava di gomito. Il modello, all’epoca, era il grande goleador della Lazio e della Nazionale, Silvio Piola. Era anche falloso, in area di rigore, Enrico: determinato a far gol.
Giovanni per la verità al calcio preferiva la pallacanestro.”
Marx, poker e biliardo, aragoste a Stintino, un po’ di football e un grande liceo classico. Questa è la sintesi?
“In poche parole, sì. Eravamo ragazzi normali, come tanti. E sulla passione sportiva c’è un altro ricordo, che può mostrare come si ingegnavano gli adolescenti e i giovanotti negli anni della guerra, per divertirsi…”
Mi racconti, la prego.
“Quando d’estate andavamo a Stintino, Enrico organizzava le Olimpiadi. Con tante, tante gare sportive. Perchè c’era un grosso problema.”
Quale?
“Noi Berlinguer e Siglienti eravamo piccoli, magrolini. Mentre, tra gli iscritti alle Olimpiadi di Stintino, spiccavano i ragazzi della famiglia più importante del paese, gli Azzena: grandi, grossi, formidabili nuotatori. Ci stracciavano e ci avrebbero stracciato, regolarmente. Allora Enrico incluse, nelle gare, alcune specialità, di cui a Stintino non sapevano un bel nulla. Come il salto triplo. Così gli Azzena venivano squalificati,
o perdevano, perché non conoscevano le regole… Ad esempio il salto con l’asta: un’altra trovata geniale dei due fratelli Berlinguer, per metterli in difficoltà. Noi ci eravamo procurati un palo del cortile, loro non erano riusciti a procurarsi un’asta. E così vincemmo noi.
Con misure paradossali: loro, mettiamo, vincevano nel salto semplice con 1.60, noi nel salto con l’asta arrivavamo, che so, solo a 1.40, ma vincevamo perché gli Azzena non avevano trovato un’asta adeguata… E poi la gara di corsa tipo maratona, sui tre chilometri.”
Cosa succedeva, in quei tre chilometri?
“Mah, Enrico era furbo: ho l’impressione fondata che prendesse certe scorciatoie…Nella corsa la supremazia comunque era di Giovanni. Un ottimo sportivo: bel corridore e anche un bravo nuotatore. Assai diverso da Enrico anche in questo. Come tutti i marinai, anche in Sardegna, Enrico non amava tanto buttarsi in mare: era freddoloso, preferiva stare in barca. Giovanni, invece, era un buon nuotatore, pronto a tuffarsi con qualsiasi clima.”
Insisto ancora: vogliamo concludere con una previsione sul futuro politico di Giovanni Berlinguer?
“Ma cosa posso dire? Diciamo che, in quelle Olimpiadi a Stintino, lui era davvero un campione, spettacoloso per la sua capacità di tuffarsi, a piedi uniti. E anche in età più adulta, e da anziano, so che non ha perso la il gusto di tuffarsi, con abilità ed eleganza. Spesso, da ragazzo, riuscendo a vincere. Insomma, sì: ha deciso di tuffarsi ancora una volta, Giovanni.”
25-10-01