Eva Riccobono: La mia prima volta?
BELLISSIMA
Col sesso ho un rapporto splendido. Ma ha avuto solo tre uomini. Sa di essere seducente. Ma vuole sentirsi dire che è intelligente. Vita, sogni,segreti e (tante) paure di una donna baciata da improvviso successo- Grazie a “Sette”
Di Cesare Lanza “Sette”
In principio fu Sette. “Apro il vostro giornale…” mi racconta Eva Riccobono con occhi brillanti, eccitati. Chissà quante volte, penso, avrà raccontato la sua storia alle amiche e ai parenti, consapevole di essere protagonista di una straordinaria favola moderna. “Apro Sette e vedo una mia fotografia con un titolo che dice che sono la nuova Laetitia Casta. Rimango impietrita: non ne sapevo nulla! E da lì è nato tutto.”
Fino a dieci mesi fa Eva Riccobono era una bella ragazza siciliana, che viveva nella sua città, a Palermo, senza i pruriti di particolari ambizioni. Poi, nel settembre 2001, decide di trasferirsi a Milano e tutto succede molto in fretta, come in un film o, appunto, in una favola. E’ scoperta e lanciata da Fiorello, riscuote la sua parte di successo nello show del sabato sera, diventa famosa, è individuata e ingaggiata per il nuovo calendario Pirelli. A diciannove anni, è considerata la nuova stella – la più promettente – nel mondo della moda e della televisione.
“A Fiorello è successo quello che era successo a me. Un giovedi, sfogliando le pagine di Sette, ha scoperto la mia fotografia. Ho saputo che gli sono piaciuta subito, e poi lui mi ha raccontato che sono piaciuta a tutti, alla moglie, alla mamma, alla sorella, all’autore del suo programma, Solari. Tutti concordi: Fiorello cercava una ragazza italiana per il suo show, e quando io neanche lo sapevo, grazie a quella fotografia ero stata scelta proprio io!”
Mi guarda dritto negli occhi. “Sono una ragazza diversa. E, in questo caso, la mia diversità sta nella fortuna. Ammetto di essere molto fortunata.”
Accidenti se è diversa, a colpo d’occhio. Siciliana, ma bionda, con occhi chiari: sembra svedese o inglese, magra, alta, seno minimo. Parla con la erre moscia, ma con un accento siciliano non forte e tutt’altro che fastidioso, però marcato, un segno di identità.
“La mia fortuna” prosegue “è stata quella, ad esempio, di incontrare grandi fotografi quasi da adolescente. E di essere piaciuta. E’ stato Chico Paladino, un mio amico che fa il producer di moda, a farmi incontrare Marco Glaviano, il fotografo di Cindy Crawford e di altre top model. E poi ho conosciuto Bruce Weber, il più grande nel mondo.
E vorrei citare anche Tino Vacca…”
– Un tripudio di fotografi e fotografie. Lancio decisivo, sembra di capire.
“Sì. Difatti, a Milano – quando scelsi la mia agenzia – tutti rimasero stupefatti perché avevo già lavorato con alcuni tra i fotografi più ambiti. E così Bruce Weber, che già mi conosceva, mi ha scelto per il calendario Pirelli. Una concatenazione di coincidenze.”
– Posso dirle una cosa che mi ha colpito, in queste prime battute?
“Certo!”
– Lei parla di sé con entusiasmo e comprensibile soddisfazione personale, ma con un tono distaccato: sembra quasi che si riferisca un’altra persona, come se stesse osservando se stessa…
“Davvero? E’ possibile. In dieci mesi la mia vita è cambiata da così a così. Cerco di mantenere la lucidità necessaria. E poi ho passione per l’analisi psicologica.
Anzi, la mia vera vocazione è per la psichiatria.”
– Ecco un’informazione davvero inattesa.
“Non so se lei lo dica con ironia, ma è così. Fin da bambina ero attratta dalle malattie e soprattutto dalle terapie, mi sentivo una crocerossina. E poi, crescendo, mi attraeva sempre di più osservare, capire come una persona è fatta dentro, ovviamente come sono fatta dentro anch’io. Quando c’è un problema, non ci si può limitare a considerare il problema in sé, ma bisogna capire quale sia la radice: si scopre sempre qualcosa legato al passato.”
– Dunque possiamo dire che il suo futuro è nella psichiatria?
“E’ la mia speranza, ma mi piacerebbe comunque un futuro nella medicina. Più di recente, viaggiando, conoscendo persone e avendo nuove esperienze, mi è nata un’altra passione, per la medicina alternativa. Al centro di tutto c’è l’energia. Con l’energia si riesce a dare sollievo. E il mio desiderio è di dare sollievo a chi soffre.”
– Temo di dire una battuta un po’ scontata, ma sono certo che per dare
sollievo a milioni di telespettatori le è bastato apparire in tivu, a fianco di Fiorello.
“Lei in realtà sta sollevando un problema serio. Perché per questo tipo di sollievo poteva esserci qualsiasi ragazza, al mio posto. Per me, mi creda, la bellezza non è motivo di orgoglio. E’ fondamentale il cervello e io voglio dimostrare di avere un cervello: desidero essere presa in considerazione per il mio cervello. Non mi lusinga sentirmi dire: caspita come sei bella. Mi piacerebbe sentirmi dire: sei intelligente. E purtroppo una bella donna, e le donne in genere, sono valutate ancora più per il corpo che per le risorse intellettuali. Siamo, ancora, sottovalutate. Se qualcuno mi considera bella, i complimenti vanno fatti ai miei genitori, non a me, non ho nessun merito io…”
– A proposito di genitori…
“Sono una meticcia. Lei è tedesca, Elizabeth, e lui, Giacomo, è siciliano. E c’è anche l’aggiunta di un nonno, Nicola, che a Palermo chiamavano “u tidiscu”, perché era un vero rappresentante di un ceppo normanno…E io assomiglio alla mamma e al nonno. Le mie sorelle invece sono bellezze mediterranee. Poi c’era un fratello, anche lui di fattezze nordiche, morto a diciannove anni, quando io ne avevo appena due.”
– Cosa ricorda?
“C’è una certa cognizione del dolore, per quanto è possibile, data l’età. Ero piccola, ma gli ero legata. Ricordo come mi faceva giocare e il senso della mancanza, quando scomparve.”
– Mi scusi, adesso: vorrei chiederle, con franchezza, dal momento che lei stessa ha parlato dell’importanza del passato, se ci sia stato nella sua infanzia qualche evento, un dolore o altro, un trauma, che spieghi la sua determinazione a capire, a indagare, a curare.
“Vuol sapere perché mi piace la psichiatria? Un mio amico medico mi ha spiegato che è lo psichiatra, nel profondo, a voler essere curato. E altre informazioni ho avuto da amici che si occupano dell’incontro tra razze diverse, sull’insicurezza di noi meticci… Le ho detto che sono una meticcia un incrocio tra sangue mediterraneo e tedesco, no?”
– Però non mi ha risposto. Esiste un problema preciso?
“Certamente sono stata, e sono ancora, una persona insicura.”
– E da cosa dipende l’insicurezza?
“Le ho già detto che la mia identità è la diversità.”
– Sì, ma vorrei capire bene: come definirebbe la sua diversità?
“Insomma! Sono alta, magra, bionda, parlo con la erre moscia e ho un
accento siciliano. Tanto è bastato per chiedermi, fin da bambina: chi sono? e da dove vengo?”
– Quando ha cominciato ad avvertire questa diversità?
“A nove, dieci anni. Le mie amichette mi dicevano: non camminare vicina a me, sei troppo alta. Nelle fotografie, la testa della spilungona che sbucava su tutte era sempre la mia.”
– Solo una questione fisica?
“Certamente no. Ero educata con principi e valori siciliani, tradizionali, ma anche con la libertà concessa dalla impostazione culturale di mia madre. A tredici anni, se volevo, io potevo partire, viaggiare. Ma con chi? Le altre ragazze, da sole, neanche uscivano di casa.”
– E tutto questo cosa provocava?
“Disagi, imbarazzi e forse anche dolore. Con mia mamma ho un rapporto
bellissimo, le ho sempre detto tutto. Le chiedevo: perché sono diversa? Perché non sono nata in Germania? E lei mi diceva che il disagio sarebbe stato uguale, per noi meticci…”
– Ha ripetuto tre o quattro volte questa parola, meticci, meticcia… Ho
l’impressione che ci sia un evidente compiacimento, un vezzo.”
“Ha ragione. Mi piace, ci gioco. C’è civetteria, lo riconosco. Ma il motivo c’è: è un modo di affrontare la mia diversità. E a 17 anni andai da uno psicologo. Anche questa, in fondo, una diversità. Perché se una ragazza siciliana ricorre allo psicologo, il rischio immediato è che dicano: cosa sei, sei pazza? Per le abitudini di mia madre, invece, era normale sentire il parere di uno psicologo.”
– Torniamo all’infanzia. Trova ombre, problemi, nei suoi ricordi?
“Al contrario. Ho un bellissimo rapporto con la mia famiglia e la mia infanzia è stata felice. Se le interessa, ecco un’altra informazione certa: io non voglio crescere. E’ chiaro? Lo dico sillabando: non-vo-glio-cre-sce-re! Ho la sindrome di Peter Pan.”
– E perché?
“Forse perché quando uno è piccino ha diritto a mille coccole e non è afflitto dal senso di responsabilità. L’unico dovere è studiare e studiare per me non è mai stato un problema.”
– E, ora, la spaventa il senso di responsabilità?
“No. Sono curiosa e voglio anche vedere che cosa succederà di me. Certo è che non voglio diventare una diva né una star. Vorrei una vita normale, una bella famiglia, un grande amore, senza pretese particolari.”
– Ho sentito che il grande amore c’è già…
“Sì. Si chiama Enzo La Deda, un cognome di origine spagnolo. E’ siciliano, ha ventisette anni e mi segue nel mio lavoro. Si occupa di produzioni di moda. E’ stato a lui a convincermi a restare a Milano, a giocare le mie carte. Conviviamo.”
– Come definisce questo vostro grande amore?
“Siamo amanti, amici e complici.”
– E basta?
“Ma è tutto! Lui mi fa sentire sicura, importante, bella. Mai piccola dentro. Mi critica e mi sostiene. Mi insegna, mi corregge. E’ la prima vera storia importante, credo decisiva.”
– Non mi dirà che, pur essendo così precoce e così diversa, questa è la prima storia della sua vita!
“Infatti non glielo dirò. Prima c’è stata una storiellina, durata da quando avevo tredici anni fino a diciotto, cinque annetti.”
– Beh, cinque annetti non sono uno scherzo.
“E’ vero, ma questo ragazzo a poco a poco è diventato come un fratello, eravamo troppo giovani, eravamo quasi bambini, anche se con lui ho avuto la prima esperienza sessuale.”
– Quando?
“A quattordici anni. Devo dire che credo di avere un bel rapporto col sesso. E la prima volta è stata bellissima.”
-Ecco allora un’altra diversità. Spesso le ragazze dicono che la prima volta è una cosa impacciata, dolorosa, senza piacere.”
“Non così, per me.”
– Se vuole, mi racconti.
“Non ci sono problemi. Con questo fidanzatino, e altri amici, siamo andati da Palermo a Marsala, dove c’era un concerto di Jovanotti. Canzoni d’amore, una sera dolce e romantica, ricordo anche il giorno, il 29 aprile… Trovai una scusa per la mamma, le dissi che mi fermavo a dormire da un’amica…”
– Non mi aveva detto che alla mamma ha sempre detto tutto?
“Aspetti. In casa di amici, dormimmo in letti separati. Poi, al mattino presto, all’alba lui entrò nel mio letto. E fu una cosa bella e romantica, dolce, né dolorosa né imbarazzante. Ne ho un ricordo felice.”
– Anche per lui era la prima volta?
“Sì. Aveva sedici anni. Insomma, due ragazzini abbracciati e felici che scoprono insieme qualcosa d’importante.”
– E la mamma?
“Le raccontai subito tutto e lei mi diede i soliti consigli, le precauzioni, la
necessità di una visita ginecologica…”
– Però questa storiellina, come ha detto lei, è durata cinque annetti.
“Normale, succede a quell’età. Ci siamo lasciati, presi… Un rapporto, via via, fraterno.”
– Continuate a vedervi?
“No. Alla fine non avevamo più niente da dirci, forse avevamo tirato troppo la corda.”
– E ora c’è il grande amore. Ma durante quei cinque anni, o annetti che si voglia dire, non è mai successo altro? Qualche capriccio, qualche trasgressione?
“Assolutamente no. Sono fedele. Ho avuto solo tre ragazzi nella mia vita. Dopo i cinque anni con quel fidanzatino, c’è stato un altro, ma non vale neanche la pena di parlarne. Un episodio. La voglia di girare pagina, una cosa inutile, strumentale. Una sfida.”
– Arriviamo, così, al grande amore, La Deda.
“Pensi che all’inizio neanche mi piaceva. E io non piacevo a lui. Poi un
giorno, per lavoro, ci siamo trovati a Stromboli. Ed è successa una cosa da film. Parlo di un anno fa. Io avevo diciotto e anni e lui ventisei e anche lui aveva finito una sua storia d’amore da poco. Una sera, in albergo, gli dico che vado a fare la doccia in camera sua…”
– Ebbene?
“Uscii dalla doccia avvolta nell’accappatoio e sotto la doccia entra lui…”
– E allora?
“Esce dalla doccia e non succede che va via la luce, in tutta Stromboli, proprio in quel momento?”
– E cosa è successo?
“C’era la luna piena… E, guardando la luna, ci siamo abbracciati, ci siamo
baciati e abbiamo capito che io piacevo tanto a lui e lui piaceva a me.”
– E quando è tornata la luce?
“ Abbiamo vissuto l’inizio di un sogno. Sì, abbiamo vissuto un piccolo lungo sogno di tre giorni, l’inizio passionale passionalissimo della nostra storia d’amore. Con la capacità di lui di non farmi mai sentire a disagio per nessun motivo: mi capisce, le questioni di pudore, di intimità… Come spiegarlo? Feeling e feeling! Avevamo cominciato appena ad amarci e mi sembrava di averlo conosciuto da sempre. Mi ha reso adulta, con lui ho conosciuto l’amore vero.”
– E adesso?
“Lui è il ragazzo che tutte le ragazze sognano, questa è la verità. E stiamo sempre insieme. Non riusciamo a staccarci. E’ l’amante e anche il padre. Ed è molto, molto uomo…”
– Molto uomo! Sembra di sentire la gag di Fiorello.
“Il punto è che sono insicura e desidero essere sempre rassicurata. Anche la tivu mi faceva paura. Quando Fiorello mi ha chiamata, non volevo andare neanche al provino: no, no e no, dicevo. Ma poi è stato facile. Perché Fiorello è davvero una bella persona, molto umile, proprio la persona che tutti vorrebbero come vicino di casa. Gentile con tutti. E umile. E quando sbaglia o qualcuno sbaglia, ha la prodigiosa capacità di trasformare l’errore in spettacolo. Ho imparato tanto, guardando le sue prove. E’ vero, Fiorello. E la gente capisce, sente che è vero, mai falso.”
– Vorrei riassumere. Lei è protagonista di una splendida favola, è giovanissima e bella in modo particolare, ha successo, ha una famiglia felice, un grande amore, e qualsiasi traguardo professionale oggi appare possibile. Tuttavia si dichiara insicura, ha passione per la psichiatria, si interroga… Ha forse paura della felicità?”
“Forse.”
– Ci sono stati dolori, traumi, esperienze brutte e negative?
“No. L’unico vero motivo di dolore è stato quando ho lasciato quel fidanzatino di cinque anni. Non era dolore per la rottura con lui. Ma avevo la sensazione di perdere molte cose e persone che avevo accanto, un gruppo, gli amici, anche la sua famiglia. Da bambina ero diventata una ragazza. Avevo perduto un sogno.”
– I sogni, le fantasie sono importanti?
“Sono indispensabili. Ripeto che non vorrei crescere… e allo stesso tempo la vita va avanti. Io vivo nei sogni e credo alle favole, ad esempio in un unico, vero grande amore per tutta la vita. E dico a tutti: sognate, sognate, sognare fa bene.”
– Lei stessa è un sogno, per molti. Un oggetto di desiderio.
“ Io questo non lo sento. Anche perché non mi sento e non mi sono mai sentita bella, veramente. Da bambina, addirittura, mi sentivo bruttarella. Avrò belle gambe, sono alta, ma ho scarso seno: bella in Italia è considerata una donna carnosa, innanzitutto.”
– Se non è una civetteria, ammetterà di essere consapevole, almeno, di risultare assai seducente.
“Questo, sì. Lo ammetto.”
– E allora mi dica quali sono le sue risorse seduttive.
“Premetto che a me sessualmente, e comunque in amore, piacerebbe essere dominata. Quanto a me, vorrei sedurre con lo sguardo, l’intelligenza, le allusioni. La sensualità non è una maglietta sollevata, la nudità spudorata, ma il modo di parlare, di muoversi: come sorridere, come accavallare le gambe… Quando indago su di me, un modello di riferimento è Lolita.”
– Perché?
“Mi vedo come Lolita perché è una bambina difficile, ha il corpo infantile, ma la mente e gli approcci psicologici sono complessi: ha malizie seduttive e femminili da adulta.
Con una finta ingenuità.”
– Dunque, anche la sua è una finta ingenuità?
“Questa conclusione non spetta a me. Le cose sono sempre più complicate di quanto sembrano.”
25-7-02