QUANDO DIO MI TESE UN AGGUATO
LA STAGIONE ALL’ANSALDO, L’ENERGIA NUCLEARE, I PROBLEMI CON TANGENTOPOLI, DA UNA PARTE. LA VOGLIA DI SCRIVERE E LE PREGHIERE,DALL’ALTRA. LA VITA DI UNO DEI PIU’ POTENTI MANAGER DI STATO, BRUNO MUSSO,E’ COME SPACCATA IN DUE . E TUTTO COMINCIO’ IN UN FATIDICO LUGLIO TORRIDO DEL 1957 QUANDO L’ALLORA STUDENTE DEL LICEO CLASSICO, PREPARANDO LA MATURITA’, FU GHERMITO DALL’ALTISSSIMO…
Intervista di Cesare lanza su “Capital”
Bruno Musso è il manager più atipico che abbia mai incontrato. Ha raggiunto la fama come leader dell’Ansaldo e manager, potentissimo, di aziende pubbliche, negli anni ottanta e novanta (oggi è vicepresidente operativo della Fondazione Gaslini, a Genova). La sua immagine pubblica è caratterizzata da due insoliti connotati. Il primo è quello del manager-scrittore, anche se il connotato oggi non rappresenta più una atipicità.
Il mondo dell’economia, infatti, è sempre più affollato da manager grandi e piccoli che affidano fiduciosi alle stampe librini e libroni, saggi, pamphlet, perfino romanzi, addirittura poesie. Ma è stato Musso, e forse per questa responsabilità non è facile assolverlo, ad aprire la strada. Il secondo connotato, ben più importante, è l’esplicita, risoluta, candida e avvincente fede religiosa: il vero filo conduttore della sua vita.
Gli ho proposto, per un’intervista in confidenza, di parlare soprattutto di questi due aspetti della sua personalità.
– – Ricordo il titolo del primo libro, quasi trent’anni fa:
“E Dio gettò i dadi e disse…”
“ Una rilettura delle Scritture. Anche se Einstein sconsigliava, diceva che Dio non gioca ai dadi. Il libro è un piccolo esame delle scienze fisiche, biologiche, e delle Scritture. Con la tesi che non ci può essere né riprova né contrasto tra il terreno scientifico e quello rivelato.”
– – Chissà quante volte le avranno detto: ma come
e quando trova il tempo, per pensare e scrivere un libro?
“Sì, molte volte: un vero slogan.”
– – Avverte ironia, scetticismo?
“ Certo. Ma la considero una domanda legittima,
anche se è strano che interessi di me come riesco a
trovare il tempo, e non quello che scrivo.”
– – E la risposta, comunque, qual è?
“ Qualsiasi persona, per fortuna, ha delle pause. Se
no, ci lasceremmo assillare dai problemi. C’è chi gioca a tennis e chi preferisce fare una passeggiata. Va bene tutto.
Io, da un certo punto della mia vita in poi, preferisco scrivere.”
– Perché?
“ Mi diverte scrivere, narrare. Ma non saprei scrivere per puro diletto. Scrivo perché penso che sia utile partecipare agli altri cose che per me hanno significato molto.”
– Innanzitutto, se ho capito bene, forti valori religiosi. E’ così?
“ E’ così.”
– Ma come è nata la sua incrollabile fede?
“ Non era affatto incrollabile. Appartenevo a una famiglia cattolica normale. Poi ci fu un episodio cruciale, al liceo. Dio mi ha ghermito durante la preparazione degli esami di maturità.”
– – Ghermito? Se possibile, vorrei capire meglio il
Momento della definitiva conversione.
“ A Torino quel luglio 1957 era stato torrido. E Dio
lo scelse per il suo agguato. Scelse un’ora del pomeriggio e, precisamente, il momento in cui, preparando gli orali della maturità classica (a quei tempi portavamo tutte le materie, più i famosi riferimenti), mi trovavo a considerare assurda la teoria di Fichte sulla “autoctisi dell’io”.
– – Caro Musso, forse è meglio spiegarla, questa autoctisi.
“ E’ la teoria secondo cui Dio dal nulla costituirebbe se stesso. E’ assurda, mi dicevo. E c’era certo, in quel mio giudizio, un pizzico di “supponenza del credente”. Fu allora che Dio mi colpì e mi scaraventò addosso la mia nullità: mi mostrò un cuore e una mente senza traccia di Dio, mi mostrò a me stesso incapace di credere, mi sprofondò nell’angoscia del vuoto totale, del nulla metafisico. Ed eresse un fossato invalicabile tra me e il mondo, tra me e i miei genitori, che pure che erano nella camera accanto.”
– – Mi sembra la descrizione, più che di uno smarrimento, di una autentica impossibilità di vivere, in quella condizione. L’anticamera del suicidio.
“ Sì, sperimentai l’impossibilità di vivere nel nulla assoluto. Ciononostante non pensai al mio suicidio, ma ne vidi la perfetta plausibilità nelle condizioni in cui mi trovavo.”
– Quale condizione?
“ Ebbi consapevolezza di non avere alcun rapporto con Dio, niente di quello che credevo di avere, dalla nascita.
Mi sentii sprofondare, con il mondo che diventava lontano.
Non pensai al suicidio perché, nonostante tutto, non scelsi la disperazione, ma scelsi ancora Dio, il Dio in cui non sapevo più credere, e lo implorai, se esisteva, di restituirmi, con la fede, la sua presenza. Anticipai forse, inconsciamente, l’atto di fede, di cui pure restavo incapace, secondo il modo del credo quia absurdum. Non guarii subito: ci vollero settimane, né mancarono minori, ma dolorose ricadute. Ma, quando gli alberi smisero le foglie, potei intraprendere una stagione tutta nuova, con gli studi di ingegneria e con un compagno di viaggio, Gesù, che non mi avrebbe più lasciato. Dall’adesione intellettuale ad una dottrina Dio mi aveva condotto all’incontro con una persona e il mio rapporto con il mondo aveva assunto una gioiosa serietà, che prima non conoscevo.”
– – Dio, una persona? Vorrei ancora capire. E vorrei
sapere come definirebbe la fede.
“ Ho capito che la fede può essere instabile: non c’era quando credevo di averla. E’ un dono: puoi averlo e ti può essere tolto. Ho il privilegio di avere incontrato Dio in modo diretto. E da lì in poi ho avuto un amico, un fratello, un padre che mi ha sempre aiutato: un rapporto vero, personale. Non vorrei cadere in sdolcinature. Fatto sta che ho incontrato una persona e questa persona non mi ha più lasciato. E cerco, per quel che posso, di mettere il dono a disposizione degli altri.”
– – Come si esplica, nella quotidianità, il rapporto
con Dio?
“ Con le preghiere. Io prego, abitualmente. Lo
chiamo ritmo spirituale. Purtroppo, in certi periodi, per eccessi di impegni mi lasciavo sopraffare e si allentava la mia tensione religiosa, senza accorgermene. Ero passivo, Sentivo disagio. Anche per la fatica fisica e nervosa.”
– E quali sono le preghiere?
“E’ importante un momento di raccoglimento. Può essere il mattutino, l’ufficio delle letture, oppure le lodi, o i vespri. E c’è stato un giorno in cui ho capito bene il valore dei salmi.”
– Quale valore, quale giorno?
“Il salmista dà voce a tutti: parla in prima persona, è difficile capire il significato del salmo se non si ha avuto l’esperienza a cui si fa riferimento. Poi, quella domenica di fine maggio, quando fui arrestato ingiustamente per Tangentopoli, lessi il salmo sulla persecuzione e capii che questa volta il salmo valeva proprio per me, anche se ogni giorno ci sono molti perseguitati nel mondo. Valeva per me. E capii fino in fondo il significato, anche rasserenante, della preghiera,”
– Lei parla con convinzione, e direi con candore, della sua esperienza di fede. Ha avvertito disagio, nel suo lavoro? Penso che il mondo del management sia intriso di ateismo e scetticismo.
“ Certo non si parla molto di questi argomenti. Ma
ricordo che, una volta, Cesare Romiti mi raccontò di una sua forte esperienza in Terra Santa: forse non ne avrebbe fatto cenno se avesse avuto di fronte un interlocutore meno attento.”
– Com’è il rapporto con i non credenti?
“ La distinzione non è tra credenti e non credenti. La distinzione è tra chi crede di avere dentro di sé ogni risposta, arroccato nella sua presunzione, e chi riconosce che non si può pretendere di esaurire la realtà e che c’è bisogno di altro. Si è mai chiesto perché nel Vangelo c’è un posto privilegiato per i bambini?”
– – No.
“ Si può pensare che il motivo stia nel candore, nell’ingenuità dei bambini. Poi, se vai a vedere bene, si sa
che i bambini possono essere molto più maliziosi, egoisti, capricciosi degli adulti. L’unica differenza è che il bambino si affida: si affida ai genitori. Ed è questo affidarsi, questo abbandono che può guidare verso Dio…”
– La fede può arrivare in qualsiasi momento?
“C’è l’esempio di San Paolo, folgorato sulla via di Damasco. Quando Dio gli si presenta, lui si arrende: capisce che ha sbagliato. E’ Dio che lo vuole. E’ Dio che decide. Importante è non arroccarsi superbamente in se stessi, ma saper accettare.”
– Ma nel mondo, sempre ambiguo e spesso un po’ “sporco” del potere, lei come ha difeso la sua fede?
“Non sono stato violentato. Ho fatto scelte con mille compromessi, evitando scorrettezze, ma non mi sono mai sentito né irriso né estraneo. A volte ho avvertito il disagio di perdere il mio tempo in riunioni salottiere, collaterali al lavoro, in cui le persone di potere si dilettano a chiacchierare, a spartirsi il mondo. Qualcuno perdeva un po’ della sua dignità, qualcuno cedeva all’ebbrezza del dispotismo, a volte anche dell’alcol, al gusto di decidere i destini altrui. Momenti di decadenza.”
– – Di chi?
“Non sarebbe corretto fare nomi. E poi io non ho
giudicato nessuno per qualche momento di deboilezza o decadenza.”
– – Quali sono state le persone determinanti, per la
sua formazione?
“ Il primo nome che mi viene in mente è quello di monsignor Franco Costa, montiniano, della Fuci. Un punto di riferimento per i politici più grandi dell’epoca, Moro, Andreotti… Ci ha insegnato a tentare di essere, insieme, umani e rigorosi.”
– – E poi?
“ E poi il cardinale Carlo Maria Martini, che ho
conosciuto fin dai tempi di Torino, della Fuci: un bellissimo rapporto, che dura tuttora ed è esteso a tutta la mia famiglia.
Mi ha dato il senso dell’essenzialità. E’ un uomo che sa ascoltare, come raramente ho visto fare: assimila quello che gli dici e lo ricorda per sempre.”
– – Mi perdoni una domanda di attualità. Martini
Potrà diventare Papa?
“Penso che sia improbabile, a meno di un miracolo dello Spirito Santo. Martini sarebbe visto come un uomo di rottura e di divisione, suo malgrado. E per questo motivo lui stesso farebbe il possibile, per evitarlo. Penso che, se il futuro Papa sarà un italiano, il nome di Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Genova, è il più probabile. Martini è considerato un uomo di forte rinnovamento, avrebbe minor consenso.”
– Lei è amico anche di Tettamanzi?
“ Da quando è arrivato a Genova, l’ho conosciuto come presidente dell’Ansaldo. E’ sempre stato vicino ai temi cruciali di una città in forte crisi. Mi incanta la sua semplicità: non ha apparato. Una domenica è venuto personalmente ad aprirmi la porta, in arcivescovado: perché non c’era nessuno, lui aveva dato vacanza a tutti.”
– – Solo nomi di sacerdoti nella sua formazione…?
“ Per me è stato importante anche monsignor Bruno Forte, il famoso teologo di Napoli. Incontro propiziato da Martini, che volle che diventassimo amici: quando ci vedemmo ci sembrava di conoscerci da sempre, tanto Martini aveva parlato a me di lui e a lui di me.”
– E i manager dell’industria pubblica, i personaggi che ha visto da vicino?
“ Formidabile Franco Viezzoli. Un esempio per tutti, la sua fiducia nel lavoro. A 75 anni ha accettato di rimettersi in gioco, con un lavoro operativo con Castiglioni: fa il pendolare da Roma a Milano.”
– Posso chiederle di Fabiano Fabiani? E delle incomprensioni dopo una lunga amicizia?
“ Fabiani è una bella intelligenza strategica, per me un riferimento importante. Poi, abilmente fomentata, c’è stata una immotivata stagione di sospetto fino all’inevitabile epilogo. Peccato.”
– Torniamo, brevemente, all’esperienza di
Tangentopoli.
“ Sul piano giudiziario fu una cosa quasi ridicola:
arresto domiciliare con permesso di lavoro. Sul piano personale, invece, una esperienza preziosa per la mia vita religiosa: mi sentii ammesso al privilegio di subire qualcosa di ingiusto, secondo l’esempio di Cristo. Ho capito il valore della sofferenza. Mi sono sentito colpito nella dignità, nei valori morali, tujtto ciò per cui ho cercato di vivere. Ma sono arrivato con serenità all’incontro con Di Pietro.”
– E qual è il ricordo?
“ Devo riconoscere al giudice Di Pietro la capacità istintiva, animalesca, di riconoscere chi ha davanti a sé. Avvertii a mia volta che capì subito che non ero certo un intrallazzatore e che ero stato tirato in ballo ambiguamente.”
– – So che quel giorno doloroso lei ebbe la conferma
della grande unità con la sua famiglia.
“Mi furono vicini e sdrammatizzarono. Mia moglie, temendo che finissi a San Vittore, aveva tranquillamente preparato una valigia. I miei figli mi diedero due libri, uno di studio e l’altro giocoso. E mostrarono ai finanzieri, che erano venuti per cercare chissà cosa, la mia collezione, quasi intera, di Topolino dal primo numero in poi.”
– Sembra, oggi, un ricordo sereno!
“ Ho la fortuna di avere una famiglia compatta, serena: merito di mia moglie Annamaria. Con tre figli di diversa vocazione: Paolo, filosofo; Carlo, che realizza il sogno di sua madre, in fisica; infine Enrico, dottore in islamistica.”
– – E ora avverto un sentimento di fierezza.
“ La famiglia è un grande dono, quello in cui l’incontro con Cristo trova la sua incarnazione quotidiana. E quanto contino gli affetti anche per giungere a Dio ho cercato di dirlo nel libro Nel silenzio di Dio, particolarmente là dove mi rifaccio alla universale esperienza del “bacio della sera”.
– – Mi accorgo che abbiamo parlato poco delle sue
esperienze di lavoro. Vorrei dunque proporle un gioco conclusivo. Lei ha lavorato con tanti dirigenti, personaggi importanti, molto stimati nel mondo dell’economia. Provi allora a immaginare di essere il selezionatore di una squadra Nazionale di manager e mi dica i nomi dei talenti che sceglierebbe…
“ Va bene, ma dev’essere chiaro che si tratta di un gioco innocente, senza presunzione. Talenti italiani o stranieri?”
– Come vuole.
“E’ tutta una vita che penso a livello mondo. Ben da prima che si inventasse il termine “globalizzazione”. Perciò, limitandomi a quelli che ho conosciuto bene e prescindendo doverosamente da quelli con cui collaboro oggi professionalmente, metterei in campo una formazione italo-mondiale. Chiamando, per l’Italia, Antonio Fazio (capitano), Gianni Bazoli, Carlo Callieri, Mario Monti, anche in rappresentanza della Commissione Europea, Paolo Fresco, anche in rappresentanza degli Stati Uniti, Pasquale Pistorio, che ha portato al siuccesso SGS Thomson, anche in rappresentanza della Francia. Per la Germania Heinrich von Pierer, presidente della Siemens Ag, per la Svezia Percy Barnevik, il carismatico fondatore di ABB, per l’Indonesia Habibi, per quindici anni capo della ricerca scientifica e dell’Iri indonesiano prima di diventare presidente della Repubblica. Per la Corea Woo Choong Kim, mitico fondatore della Daewoo, comunemente noto come Chairman Kim, per la Libia Misellati, per molti anni grande governatore della Banca Centrale del suo paese.”
– Non ci sono donne.
“E’ vero. Colpa probabilmente del modello calcistico
che mi ha indicato, dove mancano le squadre miste. Ma aggiungere qualche nome, a questo punto, diventerebbe inopportuno. Potrei solo convocare mia moglie, che ha scelto da subito la famiglia rispetto ad una professione, ma che possiede rare doti naturali di project manager.”
– E la squadra avversaria?
“ Quella esiste già. Mi ha battuto nell’ultimo incontro
che ho disputato con la maglia dell’Ansaldo.”
– – E chi sono?
“Nessuno conosce la formazione così bene come quelli che che hanno giocato quella partita. Io non sono certo di averli riconosciuti tutti. Sa come capita, nella foga del gioco… E poi prima di fare dei nomi dovrei raccontarle un altro pezzo della mia vita e, francamente, per ora non mi sembra il caso.”
dicembre 2000