Gianfranco Miccichè
CHIAMATELO COORDINATOR
A SCUOLA AVEVA IDEE CONFUSE. ORA LE HA MOLTO CHIARE SU COME ORGANIZZA UN PARTITO. L’UOMO CHE HA PORTATO AL TRIONFO FORZA ITALIA IN SICILIA SI PREPARA ALLA SFIDA NAZIONALE. E CONFESSA :”PER FARE POLITICA IO MI SDOPPIO. CON SUCCESSO”
(Cesare Lanza per Capital, settembre 2001)
Gianfranco Miccichè, 47 anni, nato a Palermo, coordinatore di Forza Italia in Sicilia e prossimamente del movimento berlusconiano a livello nazionale, diplomato al liceo classico, sposato, tre figlie, eletto deputato nel 1994, ora ministro junior per l’economia: di fronte all’incredibile successo nelle ultime elezioni politiche (non ha lasciato neanche un seggio al centrosinistra) molti dicono che sia una sorta di genio per l’organizzazione del consenso.
– Questa vocazione si capiva fin da ragazzo?
“ No. A scuola non sapevo studiare. Pessimo, bocciato due volte, disordinato.”
– Autocritico?
“Sì. Avevo idee confuse.”
– Per esempio?
“A vent’anni mi ritrovai ragazzo padre…”
– Con classica “fuitina”?
“No.”
– Insomma, quando nasce il Miccichè organizzatore?
“ Forse in banca: all’Irfis, una emanazione del Banco di Sicilia. Misi nel lavoro molto impegno, non come a scuola. Si poteva lasciare la banca alle cinque, io mi fermavo fino alle otto. Mi ritrovai capufficio giovanissimo, a ventinove anni anziché a quaranta, come succedeva allora.”
– E perché è stata importante l’esperienza?
“ In banca si impara a dare attenzione alle cose piccole, a diffidare delle apparenze. Uno arriva, ti mostra meraviglie della sua società e in realtà è a rischio di fallimento. Puoi fiutare il pericolo badando ai particolari.”
– E poi?
“In banca undici anni, poi in Publitalia altri undici. E alla fine di questa legislatura avrò maturato anche undici anni di politica… Chissà, a fine mandato potrei chiudere anche il capitolo politico.”
– Lei crede nella simbologia dei numeri?
“Un po’ sì. Ogni undici anni la mia vita è cambiata. E le figlie? La prima ha ora 25 anni, poi ne ho avute altre due da un’altra mamma, e hanno 15 e 5 anni.”
– Numeri a parte, chi è stato il personaggio-chiave della sua vita? Tutti lo sanno, ma…
“ Nessun ma. Tutti sanno che si tratta di Marcello Dell’Utri. Confermo.”
– Come andò?
“Lo conobbi, per caso, nel 1984 a una cena a Milano, a El Toulà. E me innamorai.”
– Raccontiamo questo colpo di fulmine.
“Lui cercava un dirigente per aprire una sede in Sicilia. Mi chiese se conoscessi una persona per bene, simpatica, efficiente, positiva, con capacità di buttarsi senza tregua nel lavoro. E con una laurea.”
– E lei?
“Gli dissi: io ce l’avrei questa persona, e sono io. Però non ho la laurea.”
– E Dell’Utri?
“Scoppiò a ridere e disse: mi piaci, sei simpatico. Non ha importanza se non hai la laurea, ti chiameremo dottore lo stesso.”
– E così cominciò l’avventura in Publitalia.
“In Sicilia in due anni avevano fatturato due miliardi. Io arrivai subito a quattordici. Poi Marcello mi chiese di andare a sistemare Brescia, che languiva. Era il 1987. E ottenni un incremento di 29 miliardi. E una grande lezione di umiltà…”
– Quale?
“ In Publitalia, per galvanizzarci, c’erano i premi di produzione. In proporzione all’obiettivo raggiunto. Ma dovevi dichiarare l’obiettivo: se lo raggiungevi scattava il megapremio, se non lo raggiungevi… niente. Dissi a Dell’Utri: in un anno posso fare 30 miliardi. E lui: non esagerare! Ma io, testardo: a 30 miliardi, c’era un premio enorme. Arrivai a 29 miliardi e 400 milioni, andai da Marcello e gli dissi: mi darai il premio lo stesso, vero? E lui: non ti do una lira, perché sei stato presuntuoso. Però sei bravo e ti darò una promozione. Una forte lezione di vita per me: a quell’epoca ero arrogante, capii sulla mia pelle che l’arroganza non paga mai.”
– Oggi non è più arrogante?
“Molto meno.”
– Mi racconti il passaggio dalla pubblicità alla politica. Tutti sanno che per Forza Italia il motore organizzativo di Publitalia fu decisivo. Quindi, nessun problema?
“ All’inizio sbagliammo in modo elementare. Marcello per la pubblicità diceva: dovete scegliere i collaboratori con cui stareste volentieri a cena…Se no, evitate.”
– E allora?
“Se si trasferisce questo criterio in politica, è la fine. Si resta soli. In politica il valore è inferiore.”
– Che vuol dire?
“ A Publitalia il livello è alto: la valutazione della qualità, nella scelta delle persone, è fondamentale. Per conquistare contratti pubblicitari.”
– E in politica?
“ In politica i contratti pubblicitari e il fatturato, alla fine, sono i voti.Ma la capacità di trovare voti è inversamente proporzionale, spesso, alla qualità dei curriculum.”
– In altre parole?
“All’inizio cercavo persone di pura qualità, professori, uomini di cultura alta…
Trombature in quantita! Poi il criterio è diventato un altro, abbiamo scelto le persone capaci di creare e trovare il maggior consenso: al di fuori della mafia, vorrei ben specificare, per evitare gli ingiusti tormentoni che ci hanno a lungo angosciato e infastidito.”
– Questi diversi riferimenti alla qualità assomigliano a uno sdoppiamento…
“Bravo. Vorrei citare un libro di Zweig, “La leggenda degli scacchi”, che mi ha molto colpito. Un libro che regalo a chi fa politica per me. Il protagonista è un personaggio folle: arrestato, in galera, può leggere un solo libro e gioca a scacchi con se stesso. Si divide in due giocatori, antagonisti, e muove sia il bianco sia il nero…”
– Lei è questo giocatore folle?
“Non so. Ma ho capito che in politica bisogna utilizzare al meglio sia il bianco, cioè l’affermazione di buone idee per il miglioramento della società, sia il nero, cioè le opportunità in apparenza più deteriori.”
– E lei si sdoppia?
“Sì.”
– Con quali risultati?
“Nel 1996 giocammo le regionali in Sicilia solo sulla qualità, con i pedoni bianchi, e scendemmo dal 34% delle politiche al 17. Nelle ultime elezioni, con criterio diverso, abbiamo vinto in tutti i 61 collegi del maggioritario. 61 a zero, nella sfida con il centrosinistra.”
– Dunque, tra pubblicità e politica nessun punto in comune?
“Tanti. Ad esempio la difesa della “squadra”: sia di chi sta sotto sia di chi sta sopra.”
– E altre differenze sostanziali?
“In un’azienda, se entri in rotta di collisione con un dipendente (ad esempio, se critica o disturba l’armonia del gruppo), puoi licenziarlo. In politica non ci sono dipendenti, non puoi licenziare nessuno: tutti hanno una loro quota di consenso che devi rispettare. E chiunque, se vuole, tranquillamente disturba l’armonia del gruppo, cioè del partito, e dice ciò che vuole. Bisogna affermarsi con il consenso. Nessuna autoritarietà.”
– Beh, forse Berlusconi è un riferimento, da cui non si può prescindere, che dice?
“ Dico quello che Dell’Utri mi diceva: a Berlusconi digli sempre di sì, se gli dici di no magari si incazza. Ma se hai un’idea che ti sembra migliore, non avere paura e mandala avanti. Lui capirà.”
– E lei com’è arrivato, a questo straordinario risultato in Sicilia?
“In Sicilia bisogna interpretare parole e riti. Al di là delle apparenze. Ad esempio, il baciamani. “Bacio le mani”, “A disposizione”: esiste qualcosa di più ridicolo? Così, bisogna intuire. Uno ti dice: andiamo a prendere un caffè? L’unica cosa certa è che non ha davvero voglia di un caffè. Forse ha voglia di fare due passi, o ha voglia di farsi vedere in piazza con te, o vuole ammirare il seno della commessa, o evitare un rompiballe che sta arrivando in ufficio… La prima lettura non è mai esatta, puoi giurarci.”
– Dicono che ora lei è l’uomo più importante in Sicilia.
“ Macchè. Cerco solo di capire e forse qualcosa capisco.. Quando Berlusconi nelle riunioni indica una linea, o afferma una regola, alla fine conclude con una battuta: ovviamente tutto questo vale fino a Reggio Calabria. Per la Sicilia, rivolgetevi a Miccichè.”