PAOLO BONOLIS: A TU PER TU CON IL VERO VINCITORE DEL FESTIVAL 2009
E DOPO SANREMO VOGLIO LAVORARE DIETRO LE QUINTE
Il futuro? “Più che fare il conduttore, mi piacerebbe inventare nuovi programmi”. Le critiche al Festival? “Erano manovre in vista delle nomine Rai”. E la Zanicchi furiosa? “Oh, lei è stata proprio una furbona…”
DI CESARE LANZA
Paolo, Sorrisi mi chiede di fare con te un’intervista-bilancio su Sanremo 2009. Sono un tuo autore, oltre che amico, forse non sarò oggettivo. Perciò comincerei dalla valanga di critiche che ci è piovuta addosso, alla vigilia. Eri sconcertato?
“Un po’ sì. Mi chiedevo: perché tanto accanimento? Poi, ho cercato di sorriderne. E immaginavo certi critici, figure tenebrose e inquietanti, come quei cervi che, nella stagione della monta, non riescono ad accoppiarsi.”
Sono testimone: gli strali, anche velenosi, non ti ferivano.
“No certo: abbiamo capito presto che erano attacchi strumentali. Il Festival era un falso scopo. La vera battaglia era politica, per le nomine ai vertici della Rai. Però una cosa mi è dispiaciuta.
Quale?
“Alcuni siluri arrivavano dall’interno della Rai, c’era chi remava contro.”
E chi?
“Non so. E in fondo non mi interessa. Ma, come dicono a Napoli, ‘ccà nisciuno è fesso. Poi è arrivato il successo e mi sono di colpo trovato sommerso di elogi, come spesso succede inquesto strano mondo.”
Dopo due settimane, ripensandoci, cosa ti ha dato più soddisfazione?
“Siamo riusciti a restituire alla musica un ruolo centrale, senza rinunciare allo show. Una innovazione è stata il ritmo che siamo riusciti a dare alla musica, grazie anche alla radio e al web. Sul piano umano, sono felice anche per la buona accoglienza riservata all’iniziativa umanitaria: nel 2005 abbiamo dato una mano al Darfur, questa volta, con l’introduzione della toccante canzone di Alain Clark, abbiamo sostenuto il Cers del professor Berardinelli. Il progetto “Adotta un angelo”, ha lo scopo di fornire assistenza medica gratuita, in casa, ai bambini vittime di gravi malattie, evitando a loro e alle famiglie il trauma di lunghe degenze in ospedale.”
Parliamo dei protagonisti e delle polemiche… In primis, Benigni.”
“Un gioiello rarissimo. E questo dice tutto.”
Mina?
“Un ritorno, memorabile, alle sue radici.”
La canzone di Povia?
“Non era un attacco al mondo gay, spero che alla fine tutti lo abbiano capito. Comunque, abbiamo dato a Franco Grillini (presidente onorario dell’Arcigay, ndr) la possibilità di replica.”
Le femministe contro Hefner e le conigliette?”
“Una contestazione futile.”
Iva Zanicchi?
“Alla fine, furbona, ha volto a suo beneficio tutto il chiasso suscitato dall’ironia di Benigni sulla sua canzone, peraltro molto bella.”
Miguel d’Escoto?
“Beh, abbiamo avuto voglia di stupire. Si poteva immaginare un saluto al Festival da parte del presidente delle Nazioni Unite? E sull’America padrona del mondo ha detto cose importanti.
La serata più insidiosa?
“La seconda. Per curiose coincidenze, quel giorno nessuna delle grandi star era disponibile. Comunque è andata bene: la controprova che la formula del Festival funzionava.”
I modelli super belli?
“Una trovata, geniale e spericolata, suggerita da mia moglie: Sonia mi ha dato una grande mano, prima e durante il Festival.”
Le ragazze?
“Non volevamo riproporre il rituale, un po’ logoro, della bionda e della bruna a fianco del conduttore. Non mi sembra che ci siano stati rimpianti.”
Maria De Filippi?
“Formidabile, una performance impeccabile. E la sua emozione mi ha fatto tenerezza. “Chapeau” per la sua bravura e la misura, in una prova oggettivamente insidiosa.”
Luca Laurenti?
“Per i momenti comici ci intendiamo all’unisono. E mi fa piacere che Luca abbia colto l’opportunità di imporsi come un bravo cantante.”
La serata del giovedi, il mix dei grandi cantanti e dei giovani?
“Una meraviglia. Dopo la valanga di critiche, un diluvio di elogi. Avrei voluto essere spettatore e non conduttore, per gustarmeli in santa pace!”
Il più bel momento nazionalpopolare?
“La platea e la galleria che cantavano in coro, specialmente durante l’esibizione della PFM: di colpo sembrava di essere in una euforica piazza, non nell’algido Ariston.”
Momenti raffinati?
“Le aperture. Mina, il requiem di Mozart, Giovanni Allevi per “La leggenda sul pianista dell’oceano”, i cantanti lirici con l’omaggio a Fellini di “E la nave va”, Picone e Rice per “Billy Elliott”… Dietro quei pochi minuti c’erano stati mesi di lavoro.”
Gli attori che recitavano “La lettera al Festival” scritta da alcuni famosi scrittori?
“Un esperimento da ripetere, forse, con maggior convinzione.”
Kevin Spacey e Vincent Cassel?
“La classe non è acqua. Spacey ci ha stupito subito per l’ingresso, da cantante. Cassel è stato al gioco delle battute, con ironia.”
Il televoto?
“Non sono un tecnico. Mi assicurano che le garanzie di correttezza sono totali e, comunque, mi sembra una formula di votazione molto democratica. Come l’allargamento del Festival al mondo web: è prevedibile che si affermerà sempre di più in futuro. Insomma, il Festival dev’essere di tutti.”
Dulcis in fundo, Carta e Arisa, i due vincitori.
“Simpatici per freschezza, spontaneità ed età, oltre che per qualità.”
Dicono che hai resuscitato il Festival…
“Esagerati. A me è bastato non affossarlo e non farmi affossare. In giro c’erano molti ‘cassamortari’…”
Paolo, e ora? Cosa c’è nel tuo futuro?
“Prima di tutto è prioritaria la mia famiglia, come sempre. Poi… mi piacerebbe, più che fare il conduttore, inventare programmi, nuovi format, insomma essere attivo e creativo soprattutto dietro le quinte.”
TV SORRISI E CANZONI, 09-03-09