Cesare Lanza intervista il campione simbolo di una città sottosopra.
Uno sfogo accorato, una notizia clamorosa
Antognoni, patto con il diavolo
«Forse Terim mi chiederà di andare al Milan. Firenze è una vita spezzata»
E’ UNA PAGINA romantica di vita, un piccolo dramma umano consumato con parole sommesse. Un altro (qualsiasi altro?) avrebbe deliberatamente provocato molto chiasso e avrebbe ottenuto quei titoli a tutta pagina, che non si negano mai ai rituali strepiti, alle dichiarazioni eclatanti del mondo del calcio. Lui, Giancarlo Antognoni, campione del mondo nel 1982, tutta la vita dedicata alla Fiorentina come giocatore e come dirigente, si è dimesso senza scenate, poi ha detto poche cose, ferme e sobrie, e si è rinchiuso nel suo guscio. Offeso. Mortificato. Dieci giorni dopo, accetta di spiegare una scelta che lo ha portato a una rivoluzione esistenziale.
«Offeso e mortificato, sì — riconosce, con calma — ma soprattutto mi sento libero. Senza parole grosse: credo in alcuni valori e li rispetto».
La parola ’’valori’’ è insolita, nel calcio. Approfondiamo?
«Un valore è stato l’appartenenza alla Fiorentina. Da ragazzo mi sono fatto le ossa nell’Asti in serie C e poi, da quando avevo diciotto anni, sempre a Firenze».
Occasioni importanti perdute?
«Che importa ormai? Ricordo le pressioni della Juve nel ’78 e di Roma e Inter nel 1980. Ma ho sempre rifiutato. Forse sono un tipo fedele. Amavo (mi scusi, è più giusto dire amo) la mia maglia, Firenze, la squadra. Amore puro e crudo, direi: perché con la Fiorentina non si vince, in tutta la mia carriera ho vinto solo una Coppa Italia. Per fortuna c’è stato il campionato del mondo».
Un altro valore?
«Credere in quello che faccio e dare il meglio che posso. Come giocatore alla Fiorentina ho dato tutto perché per me la Fiorentina era tutto. Quando ho smesso di giocare, nel ’90, ho capito che non avrei potuto lavorare in un altro ambiente. E così, sempre a Firenze, ho cominciato da osservatore, poi da dirigente accompagnatore, infine direttore generale».
Sempre con Cecchi Gori? Un bel record, resistere tanti anni, senza litigare.
«Sei mesi con i Pontello e poi sempre Cecchi Gori. Discussioni sì, screzi importanti, mai. Sono un uomo paziente, tollerante».
Ma dopo tanti anni, all’improvviso, ha tirato fuori gli artigli.
«Per la difesa di un altro valore. Il ruolo di direttore generale è importante, non gratificante perché non è decisivo. E a me piace lavorare in silenzio, senza apparire. Ma essere pazienti non significa non avere carattere. Sono stato trattato senza rispetto, non potevo che dimettermi».
Il punto è che lei non ha proprio gradito l’arrivo di Mario Sconcerti.
«Guardi, una cosa è il calcio scritto e un’altra il calcio giocato».
Polemica sempre interessante, fin dagli scontri tra Gianni Brera e Gianni Rivera. Dunque i giornalisti non possono essere all’altezza?
«Se uno non ha giocato, se non conosce e non ha vissuto il calcio dall’interno, il giornalismo non gli basta».
Perché?
«Non conosce i meccanismi psicologici, la delicatezza degli equilibri di uno spogliatoio. I calciatori non sono robot, anche se guadagnano tanto, non sono né cinici né venali, debbono essere capiti, seguiti. Basta leggere ciò che hanno detto Batistuta e Rui Costa».
Punto finale di rottura, l’esonero di Fatih Terim.
«Un ottimo allenatore, moderno, capace di inventare un gioco affascinante, amato dalla squadra, dai tifosi, un uomo per bene, integerrimo, corretto, collaborativo con tutti, disponibile a coordinare le risorse del club. Perciò doveva restare, lavorare tranquillo. Invece in mezza giornata è stato stravolto tutto».
Perché Cecchi Gori lo ha cacciato? Per gelosia?
«Tutti lo pensano. Ma chi può essere nella sua testa?».
Però Terim si era messo d’accordo con il Milan.
«E’ falso. Comunque, spettava a noi legarlo alla Fiorentina».
Sconcerti ha detto che è pronto a lasciarle il suo posto.
«Una presa in giro. Non voglio il suo posto. Volevo rispetto per il mio».
Com’è avvenuta la mancanza di rispetto?
«Cecchi Gori e Sconcerti sono arrivati alla scelta, irragionevole, di esonerare Terim (anzi, indurlo alle dimissioni, che è peggio) senza tener conto del mio parere».
Dopo tanto chiasso, ricostruiamo i fatti.
«Un’ora dopo la partita con il Brescia sono stato convocato da Cecchi Gori a casa sua e ho trovato Sconcerti, che stava telefonando a Mancini, per assumerlo. Tutto deciso, tutto sbagliato, tutto umiliante. Così ho tolto il disturbo. Subito. Non è vero, come dice Sconcerti, che mi sono dimesso dopo Terim. Me ne sono andato subito».
Sono volate parole grosse? Prima, negli spogliatoi, c’era stata la scenataccia di Cecchi Gori.
«Mai visto che un presidente di un grande club si lasci andare a queste brutte cose».
E nell’incontro conclusivo, tra voi tre?
«Nessuna scenata. Due mondi incomunicabili».
Se lei accettava la decisione, sarebbe ancora al suo posto.
«Se accettavo la decisione, non ero un uomo, ma un burattino con la parte di direttore generale nella recita. Un pagliaccio, anche come uomo».
Era legato alla Fiorentina ancora un anno e mezzo, per contratto.
«Sì. Ma la dignità è un valore intoccabile. Se, come uomo, ti lasci calpestare, è finita».
E adesso?
«Vedremo. Potrei lavorare ancora con Terim. Ci stimiamo. Forse mi chiederà di andare con lui».
Questa è una notizia.
«E’ una possibilità. Una probabilità».
Sbarco clamoroso al Milan?
«Questo lo dice lei. Si vedrà. Molti importanti club nel mondo vorrebbero Terim, a differenza di Cecchi Gori».
Sia sincero fino in fondo. La cosa più bella: una grande rivincita, tornare a Firenze?
«Solo con altri uomini e altri progetti. Ma non credo che Cecchi Gori sia disposto a lasciare».
Se così fosse?
«La Fiorentina è la mia vita. Oggi, una vita spezzata».
E’ raro sentire toni tanto amari.
«Sa qual è l’aspetto più mortificante, a parte il contrasto e la rottura? Dopo trent’anni di Fiorentina? Dopo tanti giorni né Cecchi Gori né Sconcerti si sono fatti sentire: nessun rispetto per la persona. Prima di me, più o meno feriti come me, se ne erano andati importanti dirigenti, come Poggi e Luna, amici di Cecchi Gori da sempre. Il calcio non c’entra. Ma nella vita, mi creda, non ci si comporta così».
Il Messaggero 09-03-01